L’opera simbolo dei Pink Floyd; divenuta, negli anni, il manifesto di denuncia sociale per eccellenza di Roger Waters, torna a far parlare di sé a pochi giorni dal suo quarantesimo anniversario. Parliamo di uno dei dischi principali nella carriera artistica dei Floyd. Un album passato alla storia per la perfezione con cui sono state affrontante tematiche delicate, intense e, di per sé, fortemente delicate per l’epoca. The Wall si è rivelato il capolavoro di Roger Waters, talmente immenso da gravare ancora sulla coscienza dello stesso bassista, più volte segnato dalla gravità e dall’introspezione con cui, all’interno dell’album, vengono trattate tematiche strettamente personali.
Il documentario del 2014 su The Wall squarcia definitivamente i tormenti più intimi di Waters, aprendo diversi spunti di riflessione sugli argomenti chiave dell’opera. Le sofferenze innescate dalla guerra, le perversioni che hanno inviso la società e; ovviamente, la prematura morte del padre ad Anzio, il 22 gennaio del 1944, che gli impedì di conoscerlo, tema ricorrente all’interno dell’intera opera autoriale dei Pink Floyd.
Le confessioni di Roger Waters
Nel corso di un’intervista, Roger Waters spiega il processo psicologico che l’ha portato a mettere le proprie emozioni completamente a nudo, in favore di un pezzo d’arte inequiparabile. “The Wall parla di me, della mia visione dell’amore, della politica e della realtà in cui è immerso il mondo. Non ho avuto difficoltà ad essere sincero. Esternare così tanti sentimenti mi ha fatto sentire una persona nuova”.
Successivamente, Roger spalanca una finestra sulla perdita del padre: “Harry Shindler è un uomo inglese che, ad oggi, vive da qualche parte sulle coste adriatiche. Un giorno è stato intervistato dalla televisione italiana in merito alla scomparsa di mio padre; poi è entrato in contatto con me e da allora siamo diventati molto amici. Ho seguito i suoi consigli, ho visitato il luogo in cui mio padre perse la vita per chiudere definitivamente i conti con il passato. Credo abbia funzionato”.
“le Guerre Mondiali mi hanno portato con sé mio padre e mio nonno. I fantasmi con cui combatto da sempre continueranno a perseguitarmi. Non vincerò mai il dolore della perdita. È per questo che sono un pacifista convinto. La guerra in Vietnam ha ucciso più di 70.000 persone tra gli americani. Il Vietnam stesso ha subito perdite ben più gravi. Anche le generazioni più moderne ne stanno risentendo. Il mondo continuerà a soffrire a causa di tali orrori se viviamo in un paradigma malinformato. Riversare la mia rabbia nelle canzoni, soprattutto nei testi, mi è servito a razionalizzare il dolore”.