Uno dei più grandi lavori discografici dei Pink Floyd è, senza ombra di dubbio, ‘Wish Were Here’. Nono album in studio della band britannica, successo senza fine pubblicato nel settembre del 1975, Wish Were Here è una pietra miliare del rock, uno degli album-simbolo del rock. Un disco che, ancora oggi, appassiona milioni e milioni di amanti di musica. Quello che forse non sapete è che Wish Were Here è anche l’album che sancì l’inevitabile declino dei Pink Floyd.
Il successo del disco “Wish You Were Here”
L’album Wish Were Here non ha bisogno di tante presentazioni, così come i Pink Floyd stessi. Probabilmente dedicato -così come tanti altri lavori discografici- al compianto Syd Barrett, questo immenso lavoro discografico ripercorre alcuni temi cari alla band britannica: l’assenza, i soliti problemi dell’industria musicale e, naturalmente, il declino psicologico del loro amico e collega Syd Barrett.
Presentato nel luglio del 1975 e pubblicato qualche mese dopo, Wish You Were Here riscosse un successo clamoroso. La EMI -nota casa discografica- all’epoca infatti non riuscì a stampare abbastanza copie per soddisfare la domanda. Non è un caso, inoltre, che sia uno dei dischi preferiti degli stessi David Gilmour e Richard Wright.
Pink Floyd: la storia dell’album che sancì la fine della band
Dietro ad ogni grande album, però, c’è una grande storia e quella di Wish Were Here è davvero, davvero interessante. Innanzitutto la prima cosa da sottolineare è che l’album nacque -come confessato dallo stesso Gilmour– in un periodo di grande confusione:
“In quel periodo ognuno di noi stava vivendo un periodo difficile, un momento di confusione personale. Avevamo realizzato i nostri sogni, avevamo rilasciato un grandissimo album, uno di quelli con più vendite in assoluto, ma non eravamo ancora soddisfatti. Non ci mancavano di certo i soldi, o le donne, o il successo, ma alla fine fu questo il vero problema: trovare nuovi stimoli per continuare.”
Le parole di Brian Humphries, ingegnere del suono dei Pink Floyd
E, più o meno, anche l’ingegnere del suono dei Pink Floyd –Brian Humphries– la pensava come Gilmour.
“Ci sono stati dei giorni in cui non facevamo assolutamente nulla -confessò Humphries nel 2014 durante un’intervista- non so cosa volessero fare con precisione i membri della band. Avevamo un bersaglio e delle freccette, un fucile ad aria compressa e non facevamo altro che intrattenerci, bevendo e fumando. Ecco, questo è quello che facevamo. Questo fino a quando la situazione non cominciò a degenerare.”