All’interno di una recente intervista, Reginald Quincy Arvize, conosciuto anche e soprattutto con lo pseudonimo di Fieldy, ha avuto modo di affrontare diversi temi riguardanti la sua carriera discografica e artistica con i Korn; nello specifico, il bassista ha sottolineato quale sia il suo modo di approcciare al basso, parlando anche dello splendido concerto a Woodstock nel 1999.
Le dichiarazioni di Reginald Quincy Arvizu, bassista dei Korn conosciuto con il nome di Fieldy
All’interno delle sue dichiarazioni, il bassista dei Korn ha avuto modo di esprimersi parlando di quella che è stata la sua volontà di personalizzazione di uno strumento musicale come il basso che, nella sua strutturazione fondamentale risulta essere – secondo il suo modo di vedere – piuttosto noioso. Per questo motivo, il bassista ha voluto creare uno stile moderno e innovativo.
Queste sono state le sue dichiarazioni a proposito: “Sì, in un certo senso volevo andare contro… il basso è un po’ noioso per me, quindi volevo fare qualcosa di diverso. Così ho finito per trasformarlo in uno stile più percussivo, come se fossi un’altra parte del batterista. Ma allo stesso tempo, cerco di stare lontano dal modo di suonare di un batterista, e vado solo nelle parti in cui posso brillare, il che penso sia equilibrato perché per i bassisti meno è più – questo risalta di più; quello che indossi giocare è più memorabile.”
Fieldy ricorda l’esibizione dei Korn a Woodstock nel 1999
Nella stessa intervista, il bassista dei Korn ha avuto modo di parlare anche dell’esibizione dei Korn a Woodstock nel 1999, in un contesto piuttosto particolare che ha voluto ricordare attraverso le sue parole. Queste sono state le dichiarazioni del bassista in questione: “Quando prendi l’onda definitiva, quella era quella giusta. Niente può superare quel concerto, è stato uno di quei grandi concerti in cui ci sono 200.000 persone ed è stato organizzato il caos. Quando siamo andati lassù, e stavamo salendo sul palco, e abbiamo iniziato con “Blind”; stai aspettando dietro il sipario, non ti rendi conto, quando aprirà quel sipario, che vedrai un numero così alto di persone tanto da non riuscire a distinguerle tutte.”
E ancora: “Era come guardare l’oceano, non c’è fine al numero di spettatori. La cosa più pazza è che esci e la gente si mette a urlare e ruggire, e non appena Jonathan [Davis, voce] dice: “Siete pronti?” l’intero pubblico inizia a saltare. Quello che ho notato è che il suono viaggia, quindi deve raggiungere le persone. Quando tutti saltellavano, creavano un’onda. Il salto sembrava un oceano perché il suono era un po’ ritardato sul retro. È una città, 350.000 persone. È stato strabiliante da vedere. Di solito, quando scendiamo dal palco quando facciamo un grande concerto, diciamo, ‘È stato un grande spettacolo!’ E con quel concerto, quando siamo scesi dal palco, stavamo urlando, urlando e abbracciandoci.”
Infine: “Penso che qualcuno stesse piangendo di gioia! È stato così folle vedere così tante persone! Le parole non possono nemmeno spiegare le emozioni che abbiamo provato.”