Una canzone può nascere per varie ragioni e grazie a varie ispirazioni. Diversi autori attingono spesso alla loro esperienza personale. In particolar modo le esperienze negative hanno sicuramente dato vita ad alcune canzoni memorabili. Nel caso di Fabrizio De André, sono tanti i testi del cantautore con una componente autobiografica. Uno dei più intensi si rifà anche ad una poesia. Stiamo parlando del Cantico dei drogati, tratto dall’album Tutti morimmo a stento, uscito nel 1968.
L’ispirazione per la canzone
Il Cantico dei drogati già dal titolo mostra le influenze poetiche che la caratterizzano. Un cantico, che innanzitutto trae la sua ispirazione dalla poesia Eroina di Riccardo Mannerini. Il poeta fu grande amico di Fabrizio De André. Come si capisce, la sua poesia si incentra sostanzialmente sulla dipendenza dall’eroina, di cui riportiamo l’incipit.
Come potrò dire
a mia madre
che ho paura?
La vita,
il domani,
il dopodomani
e le altre albe
mi troveranno
a tremare
mentre
nel mio cervello
l’ottovolante della critica
ha rotto i freni
e il personale
è ubriaco.
Possiamo vedere moltissime somiglianze con il testo della canzone, specie nell’iconica frase “Come potrò dire a mia madre che ho paura?” e poi anche il paragone con il corpo e l’affitto di una casa, i continui riferimenti all’ubriacatura, ecc. Tuttavia, questa non è la sola influenza che ha dato vita al brano. Infatti, ha una componente autobiografica. Fabrizio De André ha avuto una forte dipendenza dall’alcol e quindi anche se qui troviamo la dipendenza dalle droghe, il tema cardine della canzone, in qualche modo Faber l’ha composta pensando a se stesso.
Il cantico dei drogati
Fabrizio De André ha spiegato che l’album Tutti morimmo a stento di fatto trattava della morte non solamente fisica, ma soprattutto morale. Così in ogni canzone si descrive una forma di morte. In questo caso, allora, il brano con la delicata tematica della dipendenza si pone in quella analisi delle fragilità umane costituita dal concept album. Faber ha quindi scritto questa canzone insieme all’amico Riccardo Mannerini pensando alle fragilità dell’uomo e soprattutto alle sue fragilità personali. In una intervista a cura di Roberto Cappelli, De André spiegò:
Abbiamo scritto insieme il Cantico dei Drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall’alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non mi spaventava, anzi, ne ero compiaciuto. È una reazione frequente tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all’alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima.