Certi eventi e certi concerti sono entrati a pieno diritto nell’immaginario collettivo e nella cultura di massa. Uno di questi è sicuramente il festival di Woodstock – tenutosi negli States nel 1969. Mostri sacri della musica internazionale hanno calcato quel palco, segnando intere generazioni di giovani. Ragazzi e ragazze alla ricerca di un nuovo tipo di libertà – un nuovo stile di vita che trovarono nella musica, nell’amore libero e nelle sostanze allucinogene. Ma cosa successe davvero in quei tre giorni di pace e amore? A raccontarcelo sono i migliori chitarristi di sempre, presenti proprio a Woodstock ’69.
Il mito di Woodstock 1969
Alla fine degli anni ’60, negli States, prende vita uno dei festival più grandi e importanti che la storia della musica abbia mai conosciuto. I giovani del periodo stanno cercando da anni un nuovo tipo di libertà – fisica, spirituale e mentale – abbandonandosi alla controcultura hippie e allo sostanze stupefacenti. Woodstock rappresenta in pieno lo spirito dell’epoca – anni in cui il tempo è scandito dalle note dell’emergente chitarra elettrica, presente anche sulla locandina del festival.
Oggigiorno la parola Woodstock si è sedimentata così in profondità nell’immaginario e nella coscienza collettiva da essere diventata quasi mitologica. Tre giorni di pace, amore e musica sospesi in una sorta di atemporalità. Ma – come in molte altre cose – la verità è ben diversa dal mito. In effetti quei tre giorni rappresentarono una vera e propria sfida per i musicisti che si esibirono a Woodstock. Tra gli altri – Jimi Hendrix, Janis Joplin, i The Who – solo per citarne tre. Ci fu una certa componente di caos, di disordine fangoso e di trionfo raggiunto solamente con la forza di volontà degli artisti presenti.
Santana, Pete Townshend e gli altri
I migliori chitarristi di tutti i tempi hanno deciso di rivelare cosa successe veramente in quei tre giorni di Woodstock ’69. “Le band cercavano di fare il possibile malgrado il fango e tutte le altre circostanze presenti” ha detto il famoso chitarrista Santana. Gli altri deterrenti ovviamente erano il caos organizzativo, la folla assembrata ovunque e le enormi quantità di droga presenti nel backstage – alle quali spesso i musicisti cedevano. “Bisogna capire che in tre giorni tutto si accavalla come le onde. C’erano gli elementi naturali, e in più la mescalina e le sostanze allucinogene che prendeva la gente”.
Altra questione i pagamenti dei musicisti e gli artisti accorsi per esibirsi a Woodstock. I The Who e i Grateful Dead ad esempio, furono informati nel backstage che non sarebbero stati pagati per le proprie performance. “Lo show non sembrava andare bene – ha raccontato poi Roger Daltrey – i monitor continuavano a rompersi. Il suono faceva schifo. Combattevamo tutti con gli elementi e con noi stessi”. “C’erano brande con persone ovunque – continua il membro dei The Who – giovani uomini che avevano brutti trip, alcuni feriti, ma soprattutto bambini con continui attacchi di panico”.
Lo shock dei Grateful Dead
La peggiore esibizione ed esperienza di Woodstock ’69 fu probabilmente quella della band psichedelica dei Grateful Dead. La formazione riuscì ad esibirsi in sole 5 canzoni in ben 38 minuti, a causa di continue pause dovute alle condizioni esterne. L’acqua torrenziale che scendeva provocava infatti corto circuiti e pericolose scosse elettriche. “Woodstock è stata una duplice esperienza per noi” ha detto il chitarrista Bob Weir.
“Da un lato c’era una bellissima atmosfera sia dietro che davanti al palco – continua il membro dei Dead – dall’altro per noi è stato, senza dubbio, il peggior concerto di sempre. Ha piovuto tanto e ininterrottamente […] Ogni volta che toccavo la chitarra elettrica prendevo la scossa. Ero diventato un conduttore […] Un’esperienza terribile”.