Fabrizio De André nelle sue canzoni ha raccontato con grande verve, le storie di tutti. Oltre ad avere una grande considerazione per il presente, per i movimenti politici di quel periodo e per tutti i coloro i quali non avevano la possibilità di esprimersi, si è più volte messo in contatto con dimensioni molto lontane da lui; dimensioni che in un certo qual modo non gli appartenevano. I casi da citare potrebbero essere tanti e fra questi va sicuramente annoverato “Ottocento” brano estratto dal disco Le Nuvole (in collaborazione con Pagani e altri artisti), uscito nel 1990. Il brano è particolare in tutto e per tutto: dall’esibizione al contenuto -non che fosse nuovo a De André- e ancora una volta ci regala un’immersione dentro un mondo che non ci appartiene direttamente, ma di cui siamo la continuazione.
La posizione di Ottocento in Le Nuvole e quella di De André
Innanzitutto lo si ritrova inserito all’interno di un disco in cui De André ha cercato di raccontare i componenti delle cosiddette “due facce della medaglia”, stiamo parlando di chi esercita il potere e di chi invece lo subisce. Una dicotomia, potremmo dire, che ha accompagnato gran parte della sua produzione; un’idea che per primo esplicava. “Ottocento” si colloca nella prima parte dell’album che è appunto diviso secondo questa bipartizione. Il suo titolo inoltre doveva essere quello dell’album che poi è stato ripensato come “Le Nuvole” anche in riferimento ad Aristofane. Il riferimento però non è solo ed esclusivamente rivolto al commediografo greco, piuttosto è anche una forte allusione a queste figure ingombrati e pesanti che si coagulano nell’essenza stessa del potere e dell’impossibilità. Il brano a livello linguistico si sposa molto bene con il resto delle canzoni presenti perché contiene una parte scritta in tedesco.”Ottocento” di De André quindi incarna e personifica tutto quello che caratterizza l’alta borghesia di quel periodo, vediamone il significato.
Il significato del brano “Ottocento”
Come già detto la chiave di lettura per questo testo è il continuo riferimento alla borghesia. A portare avanti il canto è un padre borghese dal fare altezzoso. Parla dei tempi, della figlia, della moglie e del figlio. Di tutto ciò che in poche parole lo circonda, ma cosa ci racconta? L’incipit del suo decantare ricorda molto i poemi eroici con il suo “cantami”, quasi a rivestirlo di una certa importanza. Dopo aver parlato dei tempi del motore del tutto, si sposta verso la sua famiglia. La prima ad essere citata è la figlia femmina, unica e preziosissima meraviglia della famiglia, pura. Segue il figlio maschio, bello e impettito a segnare il rovescio rispetto alla sorella, in accezione capitalistica. Infine la concezione meccanica del tutto, come se tutto si potesse comprare e sostituire, come una vera e propria catena di montaggio. Nemmeno la morte del figlio pesa più di tanto, ha più peso la dinamica curiosamente e non la perdita in sé. Come dirà Pagani abbiamo davanti un uomo-aspirapolvere che risucchia tutto. Un uomo falso, che si crede colto e non lo è. Un mostro che si fa portavoce dell’Ottocento, tempo caratterizzato da utopie e battaglie che si condensavano nell’assenza di senso.