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Fabrizio De André, La storia di Andrea

Fabrizio De André ha scritto diverse canzoni contro la guerra. Una delle più famose è sicuramente La guerra di Piero, il cui emblematico momento di umanità che gli costò la vita è arrivato anche nei libri di scuola. Un altro brano molto importante nel repertorio di Fabrizio De André è Andrea, che è sì un altro testo contro la guerra, ma nasconde anche qualcosa di più. Scopriamo la storia di questa canzone.

Andrea si è perso, si è perso e non sa tornare
Andrea si è perso, si è perso e non sa tornare
Andrea aveva un amore
Riccioli neri
Andrea aveva, aveva un dolore
Riccioli neri
C’era scritto sul foglio ch’era morto
Sulla bandiera
C’era scritto e la firma era d’oro
Era firma di re. 

La brutalità della guerra

Il brano si inserisce tra i lavori antimilitaristi del cantautore genovese. Uscì nel 1978 come singolo insieme con Volta la carta per l’album Rimini. È ambientato durante la Prima Guerra Mondiale e nella semplicità del testo mostra l’orrore della guerra che cancella e distrugge. Vi sono diverse immagini inquietanti e suggestive, ad esempio un pozzo che parla al protagonista oppure la notte che viene descritta come se avesse degli occhi.

Andrea raccoglieva, raccoglieva violette
Ai bordi del pozzo
Andrea gettava riccioli neri
Nel cerchio del pozzo
Il secchio gli disse, gli disse “Signore
Il pozzo è profondo
Più fondo del fondo degli occhi
Della notte del pianto”
Lui disse “Mi basta, mi basta che sia
Più profondo di me”
Lui disse “Mi basta, mi basta che sia
Più profondo di me”. 

Andrea di Fabrizio De André è una storia omosessuale

Andrea, il protagonista della vicenda, è un uomo innamorato di un altro uomo che muore in guerra, non potendo sopportare la sua perdita, allora, Andrea si toglie la vita. C’è chi pensa che il soldato a morire in guerra sia proprio Andrea, ma dal testo sembra fin troppo chiaro sia il suo amato dai ricci neri a perdere la vita.

Nell’introdurre la canzone durante un concerto al Teatro Smeraldo di Milano nel 1992, il cantautore genovese disse:

Questa canzone la dedichiamo a quelli che Platone chiamava, in modo poetico, i figli della luna; alle persone che noi chiamiamo gay oppure, per una strana forma di compiacimento, diversi, se non addirittura culi. Mi fa piacere cantarla così, a luci accese, a dimostrare che oggi si può essere semplicemente se stessi senza bisogno di vergognarsi.

Quindi oltre alla denuncia contro la brutalità della guerra, il brano va a descrivere una storia d’amore. Lo scopo diventa allora costruire anche un manifesto che faccia riflettere gli omofobi.

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