A 10 anni da The Dark Side of the Moon e a 4 da The Wall, i Pink pubblicano The Final Cut. È il 1983 e la band rock britannica si è ormai tramutata in un trio, messosi a completa disposizione del leader Roger Waters. Gli altri due membri fissi, David Gilmour e Nick Mason, sono ormai ridotti a semplici comprimari. Ecco come è nato l’ultimo album che ha visto la presenza di Waters, che ne è stato il protagonista pressoché assoluto.
L’inizio della fine dei Pink Floyd
Forse The Final Cut non è stato un disco dal forte impatto commerciale. Il lavoro discografico è riuscito comunque a piazzarsi in vetta alle classifiche del Regno Unito e ha ottenuto il massimo dei voti da parte della rivista Rolling Stone, che l’ha considerato come un autentico “capolavoro dell’art rock”. Al tempo stesso, viene ricordato come una sorta di inizio della fine dei Pink Floyd. D’altronde, secondo quanto ha detto nel 1987 David Gilmour in un’intervista a Rolling Stone, “Era un periodo molto miserabile, lo ha detto anche Roger. Ed è stato lui a renderlo totalmente miserabile, secondo me”.
Anche chi ha scattato la foto di copertina dell’album, Willie Christie, ha parlato di una “rottura all’orizzonte”. Ha aggiunto anche che David aveva sottolineato quanto il disco fosse un insieme di “canzoni ritagliate da The Wall”. Eppure, nonostante l’atmosfera non proprio idilliaca, The Final Cut meriterebbe molto più credito. Un vero album di protesta, forse troppo ad immagine e somiglianza di Roger Waters, ma caratterizzato anche da alcuni dei migliori assoli di chitarra di Gilmour e da effetti sonori straordinari di Mason. Probabilmente, se avesse avuto dati di vendita e consensi più lusinghieri, l’album sarebbe stato una sorta di nuovo inizio per la band.
Come è nato The Final Cut
Alcune delle tracce inserite in The Final Cut sono state escluse dal precedente The Wall, ed è cosa nota. Nel 1978, Waters aveva scritto brani per ben tre album, in un’autentica esplosione creativa. Forse non avrebbe dovuto, ma nessuno poteva più fermarlo. Ormai i Pink Floyd non erano più come prima, erano rimasti agli ultimi 31 spettacoli del tour di The Wall. In qualche modo, nacque il progetto Spare Bricks, integrato da ritagli del disco precedente come One Of The Few, Your Possible Pasts e The Final Cut. Fu proprio questo il titolo finale dell’album, selezionato da Waters in un riferimento a Giulio Cesare pugnalato alle spalle da Bruto, con citazione di William Shakespeare.
Il film e la scelta di non esibirsi dal vivo
L’uscita di The Final Cut fu accompagnata da un film proposto tramite WHS, denominato The Final Cut Video EP. La pellicola ha contenuto diversi pezzi dell’album, tra i quali The Fletcher Memorial Home e The Gunner’s Dream, oltre ovviamente alla title-track. Fu prodotto da Roger Waters con la regia di Willie Christie, con la presenza nel cast di Alex McAvoy. Tutto ciò non bastò per dare nuova linfa ai Pink Floyd, che non intrapresero alcuna tournée. Forse Gilmour e Mason avrebbero voluto farla, ma Waters si rifiutò categoricamente. La scelta fu dettata dalla difficoltà di ottenere lo stesso successo del precedente tour di The Wall.