Era il 17 agosto del 1969 quando, nel bel mezzo del leggendario festival di musica ed arte di Woodstock, il bluesman inglese, Joe Cocker diede vita ad una delle performance più brillanti ed iconiche nella storia del Rock. Il mitico cantante, all’epoca, era un volto nuovo sulla scena musicale. Le cose cambiarono ben presto quando cominciò a calcare palchi più grandi. Le sue prime performance comprendevano, come molti artisti, ancora oggi sono soliti fare quando muovono i primi passi, materiale ben più noto alle masse; ad opera di musicisti di fama internazionale.
Joe Cocker seppe elevare tutto questo a livelli altissimi, proponendo interpretazioni strabilianti di brani che, già all’epoca, venivano considerati pietre miliari del genere al quale appartenevano. L’arma segreta con cui Cocker ammaliava il pubblico era la passione sfrenata che, questi, dimostrava quando cantava. Lo storico del Rock N’Roll, insegnante di musica presso la Indiana University, il professor Glenn Glass, fornisce una visione meravigliosa dell’artista; spiegando che, secondo lui, Joe Cocker fosse capace di trascendere dalla fisicità del suo corpo, trasformando sé stesso nella musica, attraverso la prorompente ferocia emotiva con cui era capace di travolgere il pubblico, immolando il suo corpo.
La scaletta di Joe Cocker a Woodstock
Lo show, in realtà, si aprì senza la voce di Joe Cocker. Fu il gruppo con cui era solito accompagnarsi, la Grease Band, che alzò il sipario, attraverso alcune cover strumentali di brani dei Traffic. Dopodiché, Joe Cocker fece il suo ingresso sul palco, traghettando la platea attraverso una canzone di Bob Dylan, Dear Landlord. Il leggendario cantante proseguì con Something’s Coming On, poi una canzone degli Honeybus, Do I Still Figure In Your Life?, prima che Cocker decidesse di intonare un altro brano dei Traffic, intitolato Feelin’ Alright. La canzone, sarebbe, poco dopo, divenuta uno dei suoi cavalli di battaglia. Cocker arricchì il suo repertorio con alcune tracce di Bob Dylan e dei Coasters.
A quel punto, Cocker aveva già il pubblico nelle sue mani, quando intonò una versione di I Don’t Need No Doctor oltre modo carica d’enfasi ed emozioni forti. Con I Shall Be Relased, ancora una volta, di Bob Dylan, Cocker si diresse verso gli ultimi minuti della sua esibizione. Va detto che poco tempo dopo il successo di Woodstock, Cocker subì diverse illazioni da parte dei colleghi di cui reinterpretava i brani, incluso Ray Charles, una delle sue più grandi influenze. Questo, spinse l’artista ad indirizzarsi verso una carriera di inediti.
Il brano dei Beatles che consacrò Cocker alla leggenda
L’esibizione di Joe Cocker a Woodstock raggiunse il suo apice, rimanendo impressa nella più brillante storia del Rock, durante i suoi ultimi istanti sul palco. Fu in quel momento, infatti, che Cocker intonò una versione unica e assolutamente meravigliosa delle hit dei Beatles inclusa nel loro iconico album Sgt. Pepper, With A Little Help From My Friends.
Il connubio tra la band e il cantante raggiunse livelli utopici, trasformando l’intero brano in una composizione Soul magnificamente architettata, in cui le note facevano da tela bianca al genio incontenibile di Cocker. Joe decise di incidere la sua reinterpretazione della canzone che, ovviamente, finì al primo posto in classifica nel Regno Unito in men che non si dica. La traccia, venne utilizzata come sigla dello show televisivo Cult The Wonder Years; entrando a gamba tesa nel panorama culturale statunitense. Quel momento è rimasto scolpito nelle menti dei più grandi appassionati di musica come uno dei più prestigiosi nell’intera storia contemporanea; divenendo il magnifico lascito di un artista a dir poco immenso.