Chuck Shuldiner nacque il 13 maggio 1967 a Rhode Island ed aveva due fratelli più grandi a cui era molto legato. Purtroppo Frank, il maggiore, morì a soli 16 anni per un incidente stradale. L’evento lasciò il giovane Chuck nel tormento e nella disperazione più profonda che, fortunatamente, riversò nella musica.
La voglia di sfogare il suo dolore e creare qualcosa di diverso lo portò a fondare, poco più tardi, il suo primo gruppo, i Mantas, e, nel 1986, i famosissimi Death.
La storia del padrino del death metal
Sebbene non abbia mai sentito suo questo titolo, Chuck è da sempre stato considerato un pioniere della musica Death metal per lo stile crudo e duro delle canzoni accompagnate dai riff di chitarra fuori dal comune.
La sua dedizione e originalità nel mondo musicale, d’altronde, fu riconosciuta largamente dato che ricoprì la decima posizione della classifica “I 100 più grandi chitarristi metal” di Joel McIver.
L’esternazione del suo tormento e le migliori canzoni di Chuck Shuldiner
Le canzoni sono il suo specchio dell’anima. In “Pull the Plug”, sesta traccia del secondo album dei Death “Leprosy”, i segni che il tormento interiore non sia mai svanito sono presenti in frasi come “Memories is all thats’s left behind” o “I now behold a machine decides my fate, End it now it’s all to late” e molti altri rimandi alla sua esperienza. Emerge tutto il lato fatalista e catastrofico di una vita che non ha più speranza di essere vissuta nella sua pienezza, la disperazione per non voler più continuare a soffrire “Don’t want to live this way”, “There is no hope”.
Un altro brano importantissimo per Shuldiner, che proviene sempre da “Leprosy”, è “Open Casket”, un rimando alla tragica scomparsa del fratello. “Never to return, memories will last” sembra essere il nucleo centrale della canzone, dove il tema del ricordo, come in Foscolo, torna di nuovo. La morte non può essere evitata, ma si può vivere nelle memorie dei cari come arma per l’immortalità. Allo stesso modo avviene per un altro colosso del repertorio dei Death, “Story to tell”, quarta traccia del loro ultimo album “The Sound of Perseverance”.
“Dark skies were beating me down with shadows of deceit slashing at trust till it forever bleeds with doubt, with pain with trust. Is pain”: di nuovo il dolore, ormai loro musa, si tramuta in suono, le sofferenze diventano note musicali e le lacerazioni dell’anima della band sembrano divenire personali, facendo così emergere anche i nostri lati bui e nascosti. Si apre un universo oscuro che sembra inghiottirci e che però, allo stesso tempo, ci fa riflettere sulla vita, capace di spezzarsi in un momento senza preavviso, di quanto sia fragile e delle cicatrici che ci lascia in seguito alla scomparsa di persone care.
La morte di Chuck Shuldiner
Un altro dolore infine si aggiunse quando gli fu diagnosticato un tumore encefalico che lo portò a morte prematura nel 2001, lasciando un vuoto incolmabile nella famiglia e in tutti i suoi seguaci.