Nel 1987 Kurt Cobain e Krist Novoselic mettono insieme quella che sarà destinata ad essere una delle band più influenti e rivoluzionarie della storia della musica. In un periodo in cui il rock involve su se stesso, il punk e l’heavy metal imperversano da una parte all’altra dell’oceano, un’enclave di giovani disadattati da vita al grunge. In un periodo di tempo particolarmente limitato e in una zona geografica circoscritta – l’area di Washington e in particolare Seattle – fioriscono in poco tempo Nirvana, Soundgarden, Alice in Chains e Pearl Jam. I primi sono forse quelli che, più di altri, sono passati da essere underground a mainstream. Un fatto con il quale, ovviamente, Kurt Cobain non conviveva bene. Non serve vedere molti live o esibizioni per capire che il frontman dei Nirvana non accettava il suo status di icona. In particolare dopo la pubblicazione e il travolgente successo di Nevermind nel 1991. Grazie anche al suo modo di vestire ha definito alla lettera il significato del termine grunge. Come non pensare infatti al cardigan indossato durante l’MTV unplugged del 1993?
La rivoluzione del grunge
Alla fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 Seattle è un centro animato e brulicante di controcultura. I giovani timidi e frustrati da una vita che non li soddisfa e da scarse prospettive future, sfogano ciò che hanno dentro nella musica. Musica che parla di depressione, nevrosi e ansie, tensione ineluttabile verso la morte e suicidio. Layne Staley canta “We chase misprinted lies […] if I cant’t be my own / I’d feel better dead”. Chris Cornell si sfoga in The Day I Tried to Live in “The lives we make / Never seem to ever get us anywhere but dead”. E come non pensare al singolo I Hate Myself and I Want to Die scritto da Kurt Cobain?
La rivoluzione grunge affonda le proprie radici nella società statunitense degli anni ’80, caratterizzata dalla povertà, dalla disillusione e dalla droga. I giovani trovano nella musica una via di fuga dalla noia e dalle loro vite stantie, esorcizzando il male di vivere in testi emozionali e profondi. Anche l’estetica con la quale si presentano sul palco è sintomatica di un’ideologia non legata all’apparenza. Abiti e vestiti che sembrano usciti dall’armadio dei loro nonni, scelti più per la loro funzionalità che per una questione di bellezza. I Nirvana in questo senso sono l’emblema della loro generazione: jeans strappati, camicie di flanella, capelli lunghi e in disordine, converse e t-shirts sgualcite.
MTV Unplugged, 1993
Nel 1993 i Nirvana – capeggiati da Kurt Cobain – si apprestano a registrare uno dei live più emblematici ed emozionanti della storia di MTV. Candele nere, fiori e lampadari rischiarano un’atmosfera a metà tra il lugubre e l’intimo. Kurt Cobain siede di fronte al proprio pubblico su una sedia da ufficio, sereno e rilassato come se parlasse con un gruppo di amici. I Nirvana sono tranquilli e il modo in cui si presentano sul palco lo dimostra. Dave Grohl ha i capelli legati, in una coda di cavallo, e indossa una maglia nera a collo alto. Krist Novoselic una t-shirt sgualcita, mentre imbraccia un basso prestato.
Kurt Cobain è lì davanti, con la sua chitarra, l’icona di una generazione che ha preso alla lettera la canzone Come As You Are. Sneakers ai piedi, jeans strappati, t-shirt e camicia stinta che si intravede sotto il cardigan che ha fatto la storia dello stile grunge. Solo con quel capo di abbigliamento il cantante dei Nirvana riesce a definire e tradurre concretamente il significato di un termine a volte troppo astruso ed etereo. Il grunge non è sporcizia, va molto oltre l’idea di trascuratezza e sciattezza. Quel cardigan – così come il grunge insegna – sembra dire “Non me ne frega niente di come mi vesto”. Perché ciò che la musica di quel periodo – e Kurt Cobain in particolare – ci hanno voluto insegnare è che non importa quello che hai addosso fintanto che hai qualcosa da dire. Fintanto che la tua Arte riesce a toccare l’anima delle persone.