Il rock, si sa, è un universo dinamico ed in continua evoluzione, e questo principio non vale solo per l’aspetto strettamente musicale, ma anche per le formazioni, spesso e volentieri soggette a mutamenti anche drastici.
La storia della musica rock è, infatti, piena di esempi di addii clamorosi (Roger Waters, per citarne uno, che abbandona i Pink Floyd nel 1985 per intraprendere una brillante carriera da solista), gruppi nati dalle ceneri di formazioni sciolte (i New Order, “reincarnazione” dei Joy Division), cambi radicali di formazione (nei King Crimson si sono avvicendati una ventina di musicisti, con Robert Fripp unico elemento stabile), band che sono letteralmente diventate un altro gruppo (come gli Yardbirds che nel 1968 si sono “evoluti” nei Led Zeppelin.
Eppure, nella “fenomenologia della metamorfosi delle formazioni”, negli ultimi tempi, si è registrata una situazione inedita e alquanto bizzarra: due band con lo stesso nome; questa singolare circostanza non riguarda una band qualsiasi, o due gruppi che
rispettano reciprocamente l’esistenza gli uni degli altri: stiamo parlando degli Yes, band inglese che, dal 1968 ai giorni nostri, ha contribuito alla definizione dei canoni del progressive rock.Al momento, infatti, esistono due band che si fregiano del marchio “Yes”, ma per comprendere le cause di ciò, dobbiamo ritornare con la memoria agli anni ‘80.
Nel corso della loro lunga e onorata carriera, la band londinese ha registrato sin da subito numerose defezioni e avvicendamenti, ma il vero e proprio “punto di rottura”in questa storia risale al 1989 quando, il cantante e leader della band Jon Anderson, lascia i suoi soci per costituire un progetto parallelo che comprenda alcuni membri che avevano già militato negli Yes negli anni ’70 (il chitarrista Steve Howe, il batterista Bill Bruford ed il tastierista Rick Wakeman) in nome della ricostituzione degli “Yes classici”, ndr – in un gruppo che prese il nome di Anderson Bruford WakemanHowe (ABWH).Così, nel 1990, per la prima volta ci ritroviamo con due formazioni che eseguivano lo stesso repertorio: gli ABWH e gli Yes “ufficiali”, che al momento dello scisma vedevano tra le loro fila il bassista ed unico membro stabile nella storia del gruppo Chris Squire, il chitarrista Trevor Rabin, il tastierista Tony Kaye ed il batterista Alan White Ma l’industria discografica intuì che mettere sullo stesso palco tutti gli Yes in circolazione sarebbe stata una trovata geniale musicalmente e commercialmente parlando.
Così la Arista Records – l’etichetta degli ABWH – fece “riappacificare” i membri delle due band che, appiccicando alla meno peggio il materiale prodotto separatamente, pubblicarono Union (un album sfortunato che risente del clima teso e della frettolosità della produzione) e partirono con il trionfale tour planetario nel corso del quale il super gruppo poté rivivere i fasti degli anni ’70.Ma il tutto durò il tempo di completare il giro del mondo e gli Yes, a partire dal 1993, ricaddero nel vortice di separazioni, sostituzioni e clamorosi ritorni che ci catapultano direttamente nel 2015 quando gli Yes comprendevano, oltre ai membri storici Howe e White, il tastierista Geoffrey Downes ed il cantante Jon Davison, proveniente dalla band neo-prog Glass Hammer.
Proprio quell’anno Squire muore stroncato da una eritremia acuta, sconvolgendo tutto l’universo Yes dal punto di vista emotivo e… legale: Squire era, da sempre e per tacito accordo tra i membri della band, il depositario del marchio Yes, ufficialmente diviso tra lui, Anderson, White e Howe. La situazione si complicò quando nel gennaio 2016 comparve sulla scena una nuova formazione che comprendeva Anderson, Wakeman e Rabin che, da marzo 2017, ha iniziato a fregiarsi del marchio Yes (specificando featuring Anderson, Wakeman and Rabin) dividendo i fan su quale gruppo fosse più “classico” e legittimato a chiamarsi in tal modo.
Le argomentazioni in ambo le direzioni sono egualmente valide: possono esistere gli Yes senza la voce di Anderson e le tastiere di Wakeman? Possono gli Yes fare a meno dello stile inimitabile di Howe e della batteria di White? Questa nuova scissione ha dato origine a situazioni bizzarre, con due band omonime e con un repertorio decisamente simile che si esibiscono nella stessa location a pochi giorni di distanza, come è accaduto ad agosto a Las Vegas.
In questa storia di separazioni più o meno sofferte c’è però un punto in cui le linee parallele si sono incontrate, seppure solo per una notte.Lo scorso 7 aprile, dopo quasi vent’anni di attesa e polemiche, gli Yes sono stati introdotti nella Rock and Roll Hall of Fame e, per celebrare l’evento, Anderson, Wakeman, Howe, White e Rabin – coadiuvati al basso da un’istituzione della musica rock come Geddy Lee dei Rush – hanno regalato ai fan un’ultima esecuzione dei due grandi classici del gruppo: Roundabout e Owner of a Lonely Heart. Dopodiché, le strade dei due gruppi si sono nuovamente separate e nessuno sa se la reunion di Cleveland potrà mai avere un seguito.
Tuttavia i dubbi su cui sopra sono stati definitivamente chiariti: non si può prescindere né dalla voce di Anderson, né dalle tastiere di Wakeman, né dalle chitarre di Howe e Rabin, né dalla batteria di White, né (ahimè) del basso del defunto Squire.Fino a quando “la grande famiglia Yes” – come la definisce Howe – non supererà le sue divisioni interne, i due gruppi rimarranno nient’altro che una cover band di quella che fu l’enciclopedia del progressive rock.
articolo di Giovanni Rubino per R3M.IT