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Morte di Michael Jackson: pubblicate foto della sua stanza 10 anni dopo la morte

Il 25 giugno del 2009 un inaspettato lutto colpì il mondo della musica. Tutte le trasmissioni; televisive e radiofoniche, si interruppero per dare il tragico annuncio: il corpo di Michael Jackson, il Re del Pop, venne trovato esanime dal medico che lo aveva in cura. Il 25 giugno 2019, vengono pubblicate delle foto inedite della stanza in cui il cantante esalò il suo ultimo respiro. Le immagini sono tratte da Killing Michael Jackson, documentario che ripercorre la morte di Jackson attraverso i racconti dei detective che si occuparono dell’indagine.

Killing Michael Jackson: le foto inedite della stanza del “Re del Pop”

Il 25 giugno del 2009, nella camera del cantante, facente parte della sua proprietà di North Carolwood Drive situata a Holmby Hills, Los Angeles, aleggiava il caos. Le immagini, assolutamente esclusive, ritraenti il marasma, saranno presenti nel documentario Killing Michael Jackson, in uscita il 22 giugno 2019. Dosi abbondanti di farmaci, siringhe, un bambolotto e frasi scritte ovunque, sono solo una parte dell’inquietante scenario legato alla morte di Michael Jackson.

C’erano post-it e pezzi di carta incollati con precisione maniacale in tutta la stanza, inclusi porte e specchi“, racconta il detective Orlando Martinez; uno fra i primi a investigare sulla scomparsa del Re del Pop. “Non so se quelle frasi erano lettere o pensieri, ma alcune sembravano poesie. Ricordo solo che l’intera zona, quella notte, era un disastro“.

Killing Michael Jackson raccoglie le testimonianze dei tre detective di Los Angeles; Orlando Martinez, Dan Myers e Scott Smith, che intrapresero fin dal primo momento le indagini per chiarire le circostanze della morte del cantante. Essi furono i primi ad entrare nella camera da letto dove venne trovato il corpo. “Sul letto giacevano un computer, una bambola e delle fotografie raffiguranti dei bambini“, continua a spiegare Martinez nel documentario. “Sicuramente non era una stanza adeguata per una persona sotto trattamento medico“. Infatti, gli investigatori trovarono anche: “Tantissimi flaconi di medicine già aperti, come il Propofol, e intorno c’era ogni tipo di immondizia; aghi, bottiglie vuote… era davvero incredibile“.
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25 giugno 2009: il giovedì nero del mondo della musica

Il 24 giugno 2009 Michael Jackson tornò a casa verso mezzanotte dopo le prove in studio di Thriller e Earth Song, in vista delle date estive. Conrad Murray, il medico che lo seguiva da sei settimane, era in casa con lui, e dichiarò di aver somministrato a più riprese al cantante del benzodiazepine, a causa della fatica del cantante a prendere sonno. Il giorno dopo, alle 10:40, il dottore mise la maschera dell’ossigeno a Jackson e gli iniettò il Propofol, un potente anestetico. Pochi minuti dopo, Murray tornò nella stanza e si accorse che, nonostante l’ossigeno, il cantante non respirava più. Alle 12:21 di quel 25 giugno 2009, dopo vani tentativi di rianimazione, il medico chiamò un’ambulanza. Si poté solo constatare il decesso: il Re del Pop era morto intossicato dai farmaci all’età di 50 anni.

Nella seguente autopsia, gli esami tossicologici rivelarono che la causa della scomparsa di Michael Jackson era dovuta proprio a un’intossicazione acuta da Propofol, il potente anestetico somministratogli da Conrad Murray. Proprio per questo motivo, la morte venne giudicata omicidio colposo. Il giudice che si occupò del processo, il californiano Michael E. Pastor, definì le pratiche del dottor Murraypazzia medica” e addirittura “esperimenti che in medicina non possono essere tollerati“. Il medico fu dichiarato colpevole e il giudice gli assegno la pena massima per il reato di omicidio volontario: quattro anni di reclusione nello Stato della California.

Murray non solo è venuto meno alle sue responsabilità sulla morte di Michael Jackson“, dichiarò il giudice nelle sue motivazioni. “Ma non ha neanche mai mostrato il minimo pentimento per aver messo in atto una pratica più che discutibile, anzi, è arrivato ad accusare il cantante di essere il responsabile della sua stessa morte“.

 

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