Giorgio Gaber è uno dei cantautori più importanti del panorama musicale italiano. Si tratta di un grande artista che, fin dagli esordi della sua carriera, ha stupito per una grande personalità e presenza scenica. Il fascino di Gaber si è manifestato inizialmente attraverso brani più “spensieriati”, narratori felici del boom economico. Ma il prodigioso chitarrista della band di Adriano Celentano aveva anche di più. Con l’amico di una vita Sandro Luporini costruisce il Teatro Canzone, brani particolari ed unici nel loro genere. Ciò per quanto concerne la performance, che unisce il teatro al cantautorato, ma anche e soprattutto per quanto riguarda i testi. Illuminanti, analitici, filosofici, ma anche incredibilmente d’intrattenimento. Tra questi, I mostri che abbiamo dentro, un’analisi approfondita della società. Fa parte di Io non mi sento italiano, l’ultimo album di Giorgio Gaber che scrisse insieme a Sandro Luporini. Uscì postumo per poco, infatti, a Gennaio 2003 dopo poche settimane dalla morte di Gaber.
Le maschere secondo Giorgio Gaber
Nelle canzoni di Giorgio Gaber, c’è sempre una forte analisi dell’uomo. Il signor G – personaggio di cui veste i panni nel Teatro Canzone, incredibilmente autentico – mostra tutte le fragilità e inadeguatezze dell’uomo comune. Ciò senza mai una forte presunzione. In brani come Il comportamento, Gaber si era divertito a prendere in giro le maschere che l’uomo porta. Al di là dell’atteggiamento di ognuno di noi, ciò che è certo è che nelle finzioni che attuiamo ogni giorno per stare al mondo, spesso si cela altro. Ovvero il fatto che nel profondo non sappiamo davvero chi siamo.
I mostri che abbiamo dentro
Giorgio Gaber nella canzone I mostri che abbiamo dentro sviscera proprio tale concetto. Con estrema chiarezza si esprime una triste verità. Ognuno di noi ha al suo interno dei mostri, che diventano quindi un ostacolo per la convivenza con gli altri. Nel profondo del nostro animo si celano egoismo, violenza, caos. Cerchiamo di nasconderli, ma emergono. Da un punto di vista formale il testo è strutturato come una sorta di climax, una lunga descrizione delle caratteristiche e delle conseguenze di questi “mostri” che abbiamo dentro di noi. Alla fine, Gaber ci rivela una grande verità: questi mostri ci portano alla guerra.