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21 dicembre 1970: Elvis Presley viene nominato agente della DEA

Per molte persone il 21 dicembre è una giornata come tante, a meno che non ricorrano compleanni o anniversari particolari. Fu un giorno molto particolare invece per il re del rock’n’roll, Elvis Presley, che cinquant’anni or sono si presentò a sorpresa alla casa bianca, venne ricevuto dall’allora presidente Richard Nixon, che gli diede il distintivo della DEA, l’agenzia federale antidroga degli Stati Uniti. Così potrebbe sembrare una storia parecchio confusa, per cui procediamo con ordine.

Il Natale 1970 di Elvis Presley

Il periodo natalizio era quello preferito di Elvis Presley sin da quando era bambino. Quando arrivò la fama e conseguentemente ad essa il danaro, si prodigava con fervore in regali a tutti i suoi amici e conoscenti, probabilmente perché lui, nel corso della sua infanzia povera, non aveva mai potuto godere di doni particolarmente eclatanti. Nel 1970 però esagerò un po’ troppo: dal negozio di armi Kerr’s Sporting Good Elvis spese venti mila dollari, facendo regali anche a passanti totalmente sconosciuti. Alla sua gioielleria di fiducia, la Schwartz-Ableser, spese circa trenta mila dollari, come del resto faceva tutte le volte che ci si recava. Al padre ed all’amico Charlie Hodge regalò una Mercedes a testa, cosa che aveva intenzione di fare con gli altri membri della cosiddetta Memphis Mafia. Ordinò una dozzina dei sui tipici occhiali da sole e fece una donazione da duemila dollari alla Self-Realization Fellowship. Inoltre, nello stesso periodo, ottenne il permesso edilizio per ristrutturare la sua residenza di Beverly Hills, che gli sarebbe costata 339 mila dollari.

Il discorso dei familiari

Vedendo i conti accumularsi, il manager, il colonnello Tom Parker, sua moglie Priscilla ed il padre Vernon si preoccuparono, visto che rischiava di mandare tutti in bancarotta andando avanti di quel passo. Il 19 dicembre affrontarono Elvis per esporgli il problema. Gli dissero che l’amicizia non si comprava e che doveva stare attento a tutte queste spese. Il padre e la moglie gli parlavano con apprensione, mentre lui li fissava incredulo. “Di cosa state parlando? Sono i miei soldi! E se il colonnello è d’accordo con voi se ne vada affanculo!”. Priscilla lasciò la stanza adirata ed Elvis uscì da Graceland gridando: “Me ne vado!”.

“Sono io! Non dire assolutamente a nessuno che ti ho chiamato!”

I familiari non si preoccuparono, già in passato erano capitate cose simili, Elvis girava un po’ in macchina per poi tornare a casa e scusarsi con tutti. Quella volta fu diverso. Il primo che Elvis contattò fu l’amico Jerry Shilling che viveva a Los Angeles. Quando rispose al telefono a notte fonda dall’altra parte sentì il re del rock’n’roll sussurrargli: “Sono io. Ora mi trovo a Dallas, sto venendo a Los Angeles da Washington. Vienimi a prendere insieme a Gerald [n.d.r. Gerald Peters era il suo nuovo autista, che precedentemente aveva lavorato per Winston Churchill] in aeroporto. Lui l’ho già sentito quando ero a Washington. Non dire assolutamente a nessuno che ti ho chiamato!”.

I viaggi di Elvis Presley

Il volo atterrò alle 2:17 di notte. Jerry si preoccupò perché il viso di Elvis era gonfio, ma lui gli spiegò che era una reazione allergica provocata da un farmaco che prendeva per un’infezione all’occhio aggravata dai cioccolatini mangiati in volo. L’amico volle comunque chiamare un medico che suggerì di non mancare più cioccolato. Quando i tre rimasero soli, Elvis potè finalmente spiegare di essersi recato a Washington con il primo volo da Memphis. Quando il giorno dopo si svegliò nel primo pomeriggio, annunciò di voler tornare nella capitale degli Stati Uniti.

Il piano del re del rock’n’roll

Praticamente avrebbe ripetuto le azioni di poche ore prima: prenotare un volo a nome di John Carpenter (il nome del personaggio da lui interpretato nel film “Change Of Habits”), la suite d’albergo con lo pseudonimo Colonello John Burrows, venendo prelevato in aeroporto dalla stessa limousine del giorno prima. Gerald fu mandato a prelevare 500 dollari, giusto per avere un po’ di contanti. Elvis non spiegò a Jerry il perché di queste grandi manovre, gli permise solo di chiamare un altro amico, Sonny West, a Memphis, dicendogli che si sarebbero incontrati a Washington. Per altro, secondo le ricostruzioni dei complottisti, il giorno successivo alla morte di Elvis, il 17 Agosto 1977, sarebbe stato prenotato un volo da Memphis diretto a Buenos Aires a nome di John Burrows, che sarebbe il realtà Presley in fuga dalla fama. Ovviamente questa è un’ultra storia tutta da verificare.

Il volo verso la capitale

Proseguendo con la nostra narrazione, è d’uopo dire che quel volo non fu privo di episodi. Tanto per iniziare Elvis mangiò una manciata di cioccolatini, che gli procurarono nuovamente una reazione allergica. Inoltre regalò i 500 dollari ad un gruppo di soldati che tornavano dal Vietnam e quando vide che sul volo c’era George Murphy, senatore della California, andò in classe economica per conferire con lui. Fatto ciò iniziò a scrivere una lunga lettera che passò a Jerry, chiedendogli che cosa ne pensasse.

La lettera di Elvis Presley diretta a Nixon

L’amico non poteva essere che sorpreso. La lettera era indirizzata all presidente Richard Nixon. Dopo una rapida presentazione di sé stesso, Presley spiegava come tre settimane prima avesse parlato con il vicepresidente Agnew a Palm Spings, promettendogli che avrebbe fatto qualcosa per aiutare il paese. A questo punto la lettera proseguiva così, citando testualmente: “La cultura della droga, il movimento hippie, l’SDS (n.d.r. Students for a Democratic Society), le pantere nere, ecc. NON mi considerano loro nemico o, come dicono loro, l’Establishment. Per me si chiama America, la patria che amo. Signore, desidero rendermi utile per quanto in potere alla Nazione. Non ambisco a titoli o nomine. Riuscirei certamente a fare di più se fossi un agente federale con la massima libertà d’azione. Aiuterei a mio modo, comunicando con gente di ogni età. Sono anzitutto un uomo di spettacolo e non mi serve nient’altro che essere convalidato con le credenziali federali.”.

La consegna della missiva alla Casa Bianca

Aggiungeva poi che aveva parlato col senatore Murphy in aereo, e chiosava dando le indicazioni su come contattarlo una volta arrivato a Washington. La busta fu recapitata al cancello della Casa Bianca alle ore 6:30 del mattino. Inizialmente Elvis fu deluso perché la guardia non diede segni di averlo riconosciuto, ma dopo pochi attimi il soldato si rese conto di chi aveva davanti, promettendo che la missiva sarebbe stata consegnata alle 7:30. Presley tornò poi in hotel, in attesa di una chiamata. Qui un altro dottore gli confermò che non doveva mangiare altra cioccolata.

L’invito all’ufficio del vice consigliere

Dopo un’ora scarsa squillò il telefono. La persona che chiamava era Egil “Bud” Krogh, vice consigliere del presidente, che lo invitava al suo ufficio all’Old Executive Office Building della casa bianca tre quarti d’ora dopo. Jerry, che pensava di stare assecondando i capricci dell’amico, ci rimase di stucco, mentre Elvis andò su di giri. Mentre si dirigevano verso Casa Bianca il re del rock’n’roll era palesemente nervoso e giochicchiava con la Colt. 45 cromata, cimelio della seconda guerra mondiale, che avrebbe regalato al presidente.

L’arrivo del cantante all’ufficio

Nel frattempo Krogh iniziava a mettere in dubbio di aver fatto una bella ossa. All’arrivo di Elvis Presley ala Casa Bianca, fu chiamato da Bill Duncun, capo dei servizi segreti del presidente, che gli comunicava un po’ allarmato che il cantante era arrivato con una pistola da regalare a Nixon, ma per certo non potevano fare entrare un’arma nello studio ovale. Quando poi vide Elvis, vestito nel suo tipico stile appariscente, con tanto di cinturone in oro regalatogli dall’International Hotel di Las Vegas a seguito del record di sold out ed incassi, il vice consigliere si iniziò davvero a preoccupare.

Elvis Presley allo Studio Ovale

In realtà il colloquio preliminare andò bene, con il cantante che ribadì i concetti che avevo messo per iscritto. Così alle 12:30, Presley e Krogh si diressero allo Studio Ovale, lasciando indietro Sonny e Jerry, anche se questi ultimi erano certi che il loro amico sarebbe riusciti a farli entrare. Solitamente i personaggi pubblici non venivano accolti nell’ufficio del presidente, ma in una stanza apposita, dove l’incontro veniva registrato. Quella volta non fu così, con tutta probabilità a causa dell’organizzazione improvvisa del tutto. Ciò non toglie che questo evento negli anni abbia alimentato le teorie dei complottisti. I resoconti dell’incontro sono dunque ricostruiti attraverso i racconti che ne hanno fatto coloro che erano presenti nello Studio all’epoca.

Il distintivo della DEA

Inizialmente Elvis parve titubante, ma poi prese coraggio ed iniziò ad esporre al presidente le teorie che aveva scritto nella lettera, includendo questa volta anche i Beatles, contro i quali si scagliava a causa del loro uso di droga, trovando il consenso del presidente. Dopo un po’ comunque Presley arrivò al nocciolo della questione: il distintivo della DEA. Elvis già ne possedeva molti, avendone ricevuti un discreto numero in diverse città in qualità di vice sceriffo. In particolare gli interessava quello della BNDD, il simbolo degli agenti che operavano sono copertura.

L’incontro con Richard Nixon

Nixon chiese al vice consigliere se avesse dovuto darglielo, e quest’ultimo rispose: “Signore, se lei lo desidera, possiamo organizzare la cosa. “. “Ne sarei lieto, glielo procuri.”. Elvis sorrise fieramente dicendo: ”Grazie signore, grazie mille, questo significa molto per me!”. Dopodiché Elvis abbracciò il presidente cosa che, come ricorda Krogh, “non era un evento comune allo Studio Ovale.”. A Quel punto il cantante disse: “Signor presidente, potrebbe dedicare un attimo del suo tempo per salutare miei due cari amici: Sonny West e Jerry Schilling? Significherebbe molto per tutti noi!”. I due entrarono e, come ricorda West: Elvis era realmente orgoglioso di essere riuscito prima ad architettare e poi di portare a compimento il suo piano. Aveva la tipica faccia di quando elargiva regali!”.

Elvis Presley riceve il distintivo

Dopo l’incontro con il presidente Elvis Presley ed i suoi amici vennero invitati a mangiare alla mensa della Casa Bianca, dove tutti gli inservienti lo guardavano a bocca aperta. Il seguente tour della Casa Bianca, consistette prevalentemente nel firmare autografi alle varie segretarie che saltavano fuori dagli uffici per andare incontro ad Elvis. Alle due tornarono nell’ufficio di Krogh e poco dopo John Finlator consegnò l’agognato distintivo al re del rock’n’roll.

“The President and The King”

Quando arrivò a Greaceland per lui era come se il Natale fosse arrivato di poco in anticipo. Per Priscilla e la figlia Lisa Marie aveva i regali da parte di Nixon, mentre per tutti gli altri aveva una storia incredibile da raccontare. Questa epopea è effettivamente entrata nella storia del rock tanto che nel 2016 è uscito un film, “Elvis&Nixon”, che ricostruisce gli eventi, e che la foto che venne scattata con Elvis e Nixon che si stringono la mano, è la più fotografato e la cui replica è la più acquistata durante i tour della Casa Bianca. La targhetta posta sotto tale fotografia recita “The President and The King”. Ad oggi, per altro, Graceland, la casa museo di Presley, è la seconda casa più visitata negli Usa, proprio dopo la Casa Bianca.

Per inciso, due sere dopo il ritorno a casa, alla vigilia di Natale, Elvis regalò altre quattro Mercedes, di cui una a Jerry, per ringraziare di averlo accompagnato.

 

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