Quale è il significato di “Il testamento di Tito”? Si tratta di uno dei pezzi più famosi del cantautore genovese e uno dei pezzi più interessanti, migliori se vogliamo, di Fabrizio. Si tratta di uno dei grandissimi brani della discografia di Fabrizio De André e uno dei brani più famosi della musica italiana. Ma questo brano di cosa parla? Parla di religione, di cristianesimo, dei 10 comandamenti. Parte tutto dalle tavole della legge che Dio consegnò a Mosè sul Monte Sinai. Ma come poteva il cantautore genovese cantare e scrivere questo brano che parla di religione, dato che Fabrizio non era certo credente?
Chi è il protagonista della canzone?
Non serve essere credenti per parlare di religione, lo sappiamo. In questo pezzo il Nostro parla, anche qui (seppur in maniera più criptica) di emarginati. Ma in fondo chi è questo Tito? Tito è il buon ladrone, colui che era stato crocifisso alla destra di Gesù e alla sinistra di Cristo c’era Disma. Tutto parte dal fatto che la poesia di Fabrizio De André parla della rinascita spirituale di Tito, il ladrone che di fatto era un peccatore. Si tratta di una canzone che parla di pentimento, di colpa ma anche di rinascita. Ma forse la rinascita non c’entra davvero in questo canzone.
Una canzone sulla religione cristiana e sui comandamenti
Tutto il brano è incentrato sull’analisi dei comandamenti della religione cristiana. Si parte dall’inizio ovvero “Non avrai altro dio all’infuori di me” e “Non nominare il nome di Dio invano” fino a continuare con tutti gli altri comandamenti. Non vengono risparmiati, per niente, nessuno dei comandamenti. Neanche il figlio di Dio viene risparmiato perché anche lui viene ucciso. Ecco perché Gesù dice “Padre, perché mi hai abbandonato?”. Ma non siamo qui a parlare di religione. Anche perché in questo pezzo la speranza di fatto non c’è.
Dal primo all’ultimo comandamento, fino all’amore
Tito è ormai crocefisso, sta per morire. E quindi enuncia, idealmente, il suo testamento spirituale. Dallo scetticismo di Tito iniziale, fino a parlare del rapporto con suo padre di cui il Nostro assolutamente non rimpiange la morte. Tito non ritiene neanche che santificare le feste sia una cosa buona, si tratta solo di buonismo. Poi il “non rubare” era considerato da Tito come necessità per sopravvivere. Alla fine “Io nel vedere quest’uomo che muore, Madre, io provo dolore, Nella pietà che non cede al rancore, Madre, ho imparato l’amore”. Tutto si conclude così, forse con una piccola speranza finale.
Fabrizio De André amava questo brano
De André ha ammesso: “Insieme ad “Amico”, “Il testamento di Tito” è la mia miglior canzone. Dà un’idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l’ha. È un altro di quei pezzi scritti col cuore, senza paura di apparire retorici, che riesco a cantare ancora oggi, senza stancarmene”. E se lo dice lui, come possiamo dargli torto? Noi siamo assolutamente d’accordo con lui, anche se a noi piacciono anche tutti gli altri brani, in assoluto, del Nostro amato cantautore genovese.