Nel corso degli anni, la musica Rock non ha subito un trattamento di favore da parte delle comunità più conservatrici; innalzatesi come oppositrici costanti della corrente, in qualsiasi sfumatura, accusandola attraverso gli stereotipi peggiori. Eppure, le accezioni negative sorte intorno al mito del Rock hanno teso via via a diradarsi; lasciando spazio agli ideali nobili di dedizione che hanno spinto la maggior parte degli artisti ad intraprendere un cammino artistico in questo genere.
Sono molti gli studi, fino ad oggi ,condotti sulla musica. Uno dei più recenti, ad opera della McGill University del Canada, confuterebbe definitivamente le affermazioni negative che hanno imperversato per decenni sul Rock. Secondo i risultati della ricerca, la mente sortirebbe effetti “piacevoli” sul cervello simili a quelli indotti dal coito all’ascolto del genere musicale nel quale più ci si rispecchia, incluso, per l’appunto, il Rock e i suoi derivati.
I soggetti sottoposti allo studio sono stati una serie di ragazzi a cui è stata somministrata una dose di naltrexone; una sorta di farmaco inibitore che, al contrario dei recettori oppiacei, impedisce al sistema nervoso di funzionare correttamente in condizioni di piacere. Proprio a causa di queste sue proprietà, il naltrexone viene utilizzato per le persone cadute nel tunnel delle dipendenze.
Gli effetti della musica sul cervello
Lo studio canadese si è, in realtà, concentrato sulle modalità di ricezione con cui, il cervello, assimila la musica. Si è, quindi, scoperto che le sostanze chimiche prodotte dal sistema nervoso, scaturite da condizioni di particolare piacere e rilassamento, esercitino un ruolo assolutamente fondamentale anche nel modo in cui percepiamo la musica. I ricercatori hanno proceduto facendo ascoltare ai soggetti della ricerca i loro brani preferiti, mentre erano sotto l’effetto del farmaco inibitore.
I ragazzi hanno dichiarato di non aver provato lo stesso piacere percepito normalmente. Il risultato della ricerca non ha potuto che stupire i ricercatori. Si tratta, infatti, della prima volta, in cui viene constatato che gli oppoidi siano direttamente coinvolti nelle emozioni indotte dall’ascolto di musica. Al culmine della ricerca, gli studiosi hanno pubblicato i risultati, accompagnandoli con alcune delle singolari dichiarazioni dei partecipanti.
I ragazzi, hanno affermato che, per quanto fossero consapevoli dell’affezione provata nei confronti dei brani che hanno avuto modo di ascoltare, questi non abbiano percepito le medesime sensazioni che, le melodie, gli avrebbero normalmente indotto. Molti hanno detto che, per quanto bello potesse essere, non stessero sortendo effetti a seguito dell’ascolto. Alla fine dell’esperimento, i soggetti di studio non hanno provato l’appagamento che erano soliti trarre dall’ascolto delle loro canzoni preferite, rivelando di essersi sentiti “emotivamente piatti”.