Che la chitarra ricopra un ruolo d’onore nella storia del Rock, è ormai assodato. Attraverso la propria discografia, i più grandi chitarristi del panorama hanno potuto elevarsi allo stato di leggende; esercitando forte influenza su generazioni di aspiranti musicisti. Sedere nel Pantheon dei mostri sacri della musica, non è affatto un’impresa facile; soprattutto nel Rock. In molti inseguono la brillante scia del successo, rimanendone accecati e perdendo di vista quanto, in realtà, sia importante mostrare dedizione in ciò che si fa per ambire alla vetta.
Altre volte, banali scherzi del destino o, la spietatezza dell’industria, giocano a sfavore di musicisti dal talento elevatissimo e che, purtroppo, non riescono a ritagliare uno spazio d’espressione adeguato alle proprie capacità su una scena che, in determinati periodi storici, è risultata ampiamente sovraffollata.
In alcuni brani, l’impronta del chitarrista passa tristemente in secondo piano se, rapportiamo questi episodi ai momenti di massima esaltazione che hanno consacrato all’eterno i massimi esponenti della sei corde. Il contributo della chitarra viene totalmente oscurato; non vedendole attribuiti i giusti elogi. In questa classifica, abbiamo raccolto alcuni brani in cui, pur occupando una posizione fondamentale, l’assolo di chitarra passa quasi inosservato; spinto inesorabilmente verso un immeritato oblio.
5) Thin Lizzy – Black Rose (1979)
Tratta dall’omonimo album del 1979, Black Rose è stato un successo assoluto in termini di vendite; riscontrando univoco consenso da parte degli addetti ai lavori. Black Rose è stato proclamato dai posteri come un capolavoro nella storia del Rock. Il brano, presenta frasi di chitarra meravigliose. Già in apertura, il riff principale, armonizzato, delinea ambientazioni fantastiche e, decisamente, auliche. L’assolo posto in chiusura, si sposa alla perfezione con il resto della canzone, mostrandosi altrettanto incisivo e, sicuramente, travolgente. Ciò nonostante, quando si parla di Black Rose, l’assolo non viene citato tra i gioielli che hanno reso, il brano, particolarmente splendente.
4) Tedeschi Trucks Band – They Don’t Shine (2019)
Sebbene la qualità degli assoli di Susan Tedeschi sia molto elevata, le sue doti chitarristiche passano spesso in secondo piano; il più delle volte messe in ombra dalle sue straordinarie doti canore, che l’hanno resa tra le massime esponenti del canto Blues e, dal fatto che lei si occupi, principalmente, delle fortissime ritmiche sulle quali si ergono gli assoli di Derek Trucks. In They Don’t Shine del 2019, Susan Tedeschi imbraccia una Fender Stratocaster, rimarcando la sua presenza anche nella chitarra solista.
3) Ten Years After – I’m Going Home (1968)
I Ten Years After riemergono dagli anni d’oro del Blues Rock britannico, dimostrando un lustro sprezzante dei trascorsi attraverso una discografia di assoluto prestigio. La band, si esibì anche all’iconico Festival di Woodstock del 1969, proponendo una strabiliante versione Live del brano preso in esame. Le chitarre presenti nella registrazione del Live sono semplicemente fantastiche. Intrise di un virtuosismo atipico per la chitarra Blues di quegli anni, che strizzava l’occhio a ciò che, in un secondo momento, avrebbe portato chitarristi come Ritchie Blackmore alla ribalta. Negli assoli dei Ten Years After si percepisce una fortissima devozione allo strumento, rendendo inspiegabili i motivi per i quali, una gemma come I’m Going Home abbia subito in modo così efferato l’inesorabilità del tempo.
2) Ram Jam – Black Betty (1977)
Un classico dell’ Hard Rock a stelle e strisce, nonché una Hit distruttrice delle classifiche dei suoi anni, finita inspiegabilmente nel dimenticatoio. L’interpretazione di Black Betty dei Ram Jam, reinventava completamente il brano, concepito in origine come un coro afroamericano risalente al ventesimo secolo, fornendovi una ventata di meravigliosa spensieratezza, pur non disdegnando straordinarie manifestazioni di forte identità artistica ed elevata maturità compositiva. Quando i Ram Jam proponevano Black Betty dal vivo, si lanciavano in esecuzioni mirabolanti in cui le chitarre ruggivano indisturbate incantando il pubblico.
1) Black Sabbath – Masters Of Insanity (1992)
Tratto da Dehumanizer,uno degli album più sottovalutati nella storia del Metal. Pur provenendo da un’annata particolarmente infelice per i Black Sabbath, il disco, nel complesso, è un lavoro solido, composto da brani straordinariamente incisivi. Tony Iommi da il meglio di sé in Masters Of Insanity, lanciandosi in un assolo lontano anni luce, in termini tecnici, dalle sue opere passate. Le atmosfere eroiche disegnate dalle sezioni ritmiche della canzone, fanno da tappeto ad una chitarra graffiante e, ove mai feroce e, apparentemente, inarrestabile.