“La prima volta che l’ho visto, Freddie stava prendendo il tè al ristorante Rainbow Room, nel celebre centro commerciale Biba di Londra. Erano gli anni sessanta, lui indossava una pelliccia di volpe, portava i capelli lunghi e lo smalto nero sulle unghie. Non notarlo sarebbe stato impossibile“. È questo il primo ricordo che Peter Freestone, suo storico assistente, ha di Freddie Mercury.
L’incontro fu breve, ma Freestone non si sentiva per niente in soggezione. L’assistente ricorda di aver lavorato anche alla Royal Opera House e di essere, per cui, abituato a vedere le super star del momento.
Sei anni dopo le loro strade si incrociano ancora una volta. Freddie Mercury si è appena esibito con il Royal Ballet quando Peter Freestone gli viene presentato. Chiacchierando, Mercury chiede che lavoro facesse Freestone che, al tempo, si occupava dei costumi di scena. La risposta di Peter fu proprio questa e, dopo una settimana, gli venne chiesto di lavorare sui costumi dei Queen per un tour di sei settimane.
Già dopo il primo tour, Freestone riceve una promozione, diventando l’assistente personale di Freddie Mercury e presto, uno dei suoi amici più cari e intimi. “Venivamo da contesti simili, siamo entrambi cresciuti in un collegio in India così, spesso riuscivamo a capirci senza nemmeno parlare. Quando Freddie aveva bisogno di un bicchiere d’acqua, una sigaretta o semplicemente di sfogarsi dopo un’intervista scomoda, io ero li per lui”.
Freddie Mercury e il suo rapporto con la droga
Siamo tutti a conoscenza dell’edonismo con cui Freddie Mercury ha condotto la sua vita e la sua carriera artistica. Come assistente personale del frontman, a Freestone spettava l’arduo compito di fornire gli “ingredienti” per le feste private dei Queen. “Nonostante sia una delle più grandi leggende del rock n’roll, devo insistere sul fatto che i Queen non abbiano mai ingaggiato dei nani che portassero droga in vassoi durante le loro feste“, afferma l’assistente in maniera scherzosa.
L’intervista poi si sposta sul rapporto che Freddie Mercury avesse con le droghe. Nonostante il cantante ne apprezzasse l’effetto e ne facesse uso regolarmente, Freestone specifica più volte che, nel suo caso, non si trattasse di una dipendenza: “Freddie sapeva quando smettere, consumava cocaina regolarmente, ma non ogni giorno, 3 o 4 giorni alla settimana e gliene avanzava sempre”.
“Non è mai stato un problema per nessuno. La polizia di Kensington lo sapeva, ma non ha mai importunato Freddie, sapevano che ne facesse uso con discrezione e in assoluta riservatezza. I problemi arrivavano in tour, quando non sei a Londra ti ritrovi davanti a circostanze molto particolari. New York è come un negozio, tutti si mettono in fila e, al loro turno, scelgono cosa acquistare da una valigetta di metallo”.
La reazione di Peter Freestone quando scopre della malattia
È una tranquilla mattinata di maggio del 1987. Freddie si è assicurato di essere solo in casa col suo assistente. I due sono in cucina quando il cantante si confida con l’amico riguardo la sua malattia. “Ho sentito il cuore sfondare il petto e cadere per terra” ammette Freestone. “Entrambi sapevamo fosse una condanna a morte, ma Freddie mi chiese di non parlarne più, per quanto gli riguardava, aveva ancora una vita intera davanti”.
L’AIDS tolse a Freddie ogni autonomia. Il 10 novembre del 1991 smise di prendere il farmaco che lo teneva in vita, decidendo quando morire. Durante la sua ultima settimana, tre amici gli tenevano costantemente compagnia, ricordandogli di non essere mai solo.
“All’inizio Freddie era teso, ma il suo umore cambiò drasticamente quando, il 22 novembre del 1991, alle 8 di sera, annunciò in un comunicato stampa di essere malato. Cominciammo a chiacchierare dei vecchi tempi, non mi era mai sembrato tanto rilassato. Finalmente non aveva più niente da nascondere. Freddie non ha mai interpretato l’AIDS come qualcosa di cui vergognarsi o da nascondere sotto al letto. Al termine delle 12 ore avevo dipinto il mio personale e vivido ritratto di Freddie Mercury. Un momento intimo e raccolto in cui, quando feci per alzarmi, lui mi ringraziò. Quella fu l’ultima volta che parlai con Freddie, non ho mai saputo se mi avesse ringraziato per i 12 anni passati al suo fianco o per le 12 ore passate quel giorno”.
Freestone conclude, spiegando di aver impiegato molto tempo prima di abituarsi a vivere nell’ombra di una personalità immensa come Freddie Mercury e che, nonostante si sia ricavato uno spazio personale di assoluto rispetto, l’amico sa di essere riconosciuto per strada dai fan come una delle ultime persone ad essergli rimasta vicino. “Le persone mi stringono la mano, nonostante l’abbia lavata innumerevoli volte da quando l’ho tenuta a lui, chiedono di farsi foto perché ritrovano in me una delle poche persone ad aver vissuto realmente la magnificenza di Freddie Mercury“.