Il 1971 fu un’annata d’oro per il panorama concertistico italiano. All’epoca, le fonti mediatiche a disposizione degli organizzatori erano relegate al solo primo canale in televisione, alla radio e al settimanale musicale “Ciao 2001”. In questo clima “dilettantistico” d’informazione, i gruppi rock d’oltreoceano trovavano visibilità saltuaria per mezzo della diffusione dei dischi e dei passaggi radiofonici nazionali. A partire dal Febbraio di quell’anno, nel Belpaese abbiamo visto susseguirsi band come Jhetro Tull, Yes, Deep Purple, Uriah Heep, Pink Floyd e Led Zeppelin.
Alcuni di questi eventi sono passati alla storia per i tumulti che hanno, purtroppo caratterizzato le platee interessate. Il concerto del 5 luglio dei Led Zeppelin al Vigorelli di Milano echeggia ancora nelle menti degli appassionati a causa dei disordini da cui scaturì un lancio di lacrimogeni da parte della polizia; la band dovette fermare il concerto tra lacrime e violenze dopo appena 26 minuti mentre l’impianto che ospitò l’evento fu semidistrutto dalla collera del pubblico.
L’avvento dei Pink Floyd in Italia
Nell’aprile del ’71, i Pink Floyd conobbero un ottimo indice di gradimento in Italia. “Atom Heart Mother” raggiunse il quinto posto in classifica e la EMI italiana decise di approfittarne pubblicando i primi due dischi del gruppo, “The Piper At The Gates of Dawn” e “A Saucerful Of Secrets”. L’anno precedente, i Pink Floyd cominciarono a farsi notare toccando la settima posizione in classifica con la colonna sonora di “Zabriskie Point” di Michelangelo Antonioni.
Il primo vero tour italiano dei Pink Floyd fu organizzato in collaborazione con “Ciao 2001”. Partendo da Dusseldorf il 4 giugno, passando per Germania Ovest, Francia, Italia, Olanda e Austria; terminando il 1 luglio. Il primo a propagandare l’evento fu, ovviamente, il giornale. Sul settimanale vennero annunciate le date di Bologna e Roma del 19 e 20 giugno con il relativo listino prezzi che, partendo da 1500 lire, raggiungeva una quota massima di 3000. Restano iconici alcuni ritrovi culturali nella cultura pop italiana del secondo ‘900 che, furono inevitabilmente, protagonisti non solo della vendita dei biglietti; ma anche, nel caso del “Piper Club” di Roma, sede di storici concerti rimasti nell’eterna memoria del patrimonio musicale italiano.
Le controversie dietro gli eventi italiani
Sembrerebbe che, in origine, i Pink Floyd avrebbero dovuto esibirsi al Palaghiaccio di Milano e che; conseguentemente ai tafferugli avvenuti nel corso del concerto dei Chicago e, degli altri eventi tumultuosi che hanno segnato la stagione live italiana dell’epoca, le autorità locali avessero deciso di annullare il concerto. Scegliere Bologna fu, quindi, un’iniziativa fortuita che, in ogni caso, non vide realizzazione alcuna a causa della riluttanza della presidenza del CONI nei confronti di un evento “poco adatto” alla struttura.
La scelta finale ricadde sul Palazzo delle Esposizioni degli Industriali di Brescia. Il luogo avrebbe, successivamente; accolto concerti memorabili come quello dei King Crimson, il 20 marzo del 1974. Ad ogni modo; gli sforzi dell’equipe organizzatrice non finirono qui, date le numerose incertezze in merito alla location definitiva dell’evento; i biglietti, venduti ad un prezzo fisso di 1500 lire, non riportarono indicazioni riguardo il luogo in cui i Floyd si sarebbero esibiti.
5000 spettatori attendevano trepidanti l’inizio del concerto. L’impianto venne posizionato sulle balconate e, secondo le testimonianze, Richard Wright gestiva la distribuzione dei suoni mediante un controller, generando un effetto ipnotico e suggestivo che portò l’intera platea ad immedesimarsi in un contesto universale astratto contornato dalla psichedelia dello spettacolo di luci cui; i Pink Floyd sono da sempre attribuiti.
Nonostante gli aspetti organizzativi carenti, lo spettacolo di Roma risultò altrettanto memorabile; pare tuttavia che, in quel caso, il concerto mancò del reparto luci a causa di uno sciopero del personale o, presumibilmente, dell’assenza fisica del materiale di scena.
Ricordiamo, inoltre che, la stampa omise la presenza di David Gilmour nella lineup del gruppo; sostenendo che Syd Barrett fosse tornato e che gli spettatori avrebbero avuto l’opportunità di ascoltarlo dal vivo. Negli anni, la teoria, secondo la quale questa fosse una mera scelta di marketing rivolta ad un pubblico di scala più ampia, vide conferma nelle parole degli organizzatori stessi.