La musica italiana e, in generale, l’arte e la cultura del nostro paese piangono l’11 gennaio di ogni anno. Si tratta di una delle date che più ha determinato un vuoto, uno spartiacque nella musica italiana: la morte di Fabrizio De Andrè, avvenuta l’11 gennaio del 1999, ha segnato un vero e proprio limite nel cantautorato – e non solo – del nostro paese. Cercheremo di omaggiare la sua figura attraverso 10 canzoni che speriamo possano ricordarlo al meglio.
10 canzoni per ricordare Fabrizio De Andrè
Le 10 canzoni che abbiamo scelto per ricordare Fabrizio De Andrè non sono, necessariamente, le canzoni che più hanno venduto o le più famose. Per certi versi – nonostante la bellezza sia un qualcosa di soggettivo – non sono neanche le più belle o importanti. Tuttavia, ognuna di essere è perfetta per comunicare un determinato messaggio che sia culturale, storico o sociale. Per questo motivo il fatto che alcuni capolavori come Anime Salve, Il Pescatore o La Canzone di Marinella non figurano in questa lista non va visto come un preferire l’uno o l’altro brano, ma una semplice scelta.
Cantico dei drogati
Prima tra le canzoni di Fabrizio De Andrè che abbiamo scelto per omaggiare il cantautore genovese è Cantico dei drogati, contenuta all’interno dell’album Tutti morimmo a stento. Che De Andrè sia stato un grande conoscitore delle realtà più degradate della società (i cosiddetti esclusi, come drogati o prostitute) è ben visibile all’interno di questo brano dalla durata considerevole. La tensione che si avverte nelle parole quasi tremanti “Come potrò dire a mia madre che ho paura?” riesce a squarciare ogni velo di indifferenza, colpendo l’ascoltatore nel profondo del suo animo.
Ottocento
Di registro completamente differente è Ottocento, contenuta all’interno del prezioso album Le Nuvole. Una sagace invettiva contro la classe borghese, da sempre osteggiata dall’anarchico De Andrè, Ottocento contiene tutti gli elementi che rendono una canzone memorabile: oltre alla grande orecchiabilità del brano, il Jodel finale e i versi in finto tedesco sono una chiave di lettura satirica. Basti pensare a quando il cantautore genovese si esibì con questa canzone vestito in giacca e cravatta, vestendo i panni di chi egli stesso criticava.
Khorakhanè
Tornando al tema degli umili e degli esclusi, Khorakhanè è una delle canzoni più belle di tutta la discografia di Fabrizio De Andrè, contenuta all’interno di un album (Anime Salve) la cui bellezza non sembra essere umana. Al centro della disamina di questa canzone ci sono i rom, che vivono “in quel pozzo di piscio e cemento”. Memorabile, per chi non dovesse conoscerla, è l’esibizione al Teatro Brancaccio di Roma, del 1998, in cui la figlia Luvi intona un emozionante coro.
Il suonatore Jones
Se è vero che, come si potrebbe dire dopo un ascolto superficiale, le canzoni di Fabrizio De Andrè sono pesanti o tutte tragiche, Il suonatore Jones contraddice in pieno questo concetto. Di tutto l’album Non al denaro, non all’amore né al cielo, Jones è l’unico personaggio felice, in grado di morire libero. E quale conquista è più preziosa per un essere umano se non quella della libertà? Il brano, così come tutti gli altri, è ripreso dallo Spoon River di Edgar Lee Masters, di cui Fabrizio De Andrè era grande conoscitore.
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
Il registro completamente differente di Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers dimostra quanto composita, eppure eccezionale anche per questo, possa essere la discografia di De Andrè. Insieme ad altri brani – come il Fannullone – questa canzone è stata realizzata con la complicità di Paolo Villaggio, che ha curato gran parte del testo.
Hotel Supramonte
C’è una grande differenza tra l’artista e il non artista, e crediamo che il brano in grado di esprimere questa stessa non possa che essere Hotel Supramonte. Il perdono, la grazia, l’eleganza disarmante che si avvertono all’interno del brano contenuto all’interno de L’Indiano sono il risultato del rapimento che De Andrè e Dori Ghezzi subirono in Sardegna. Chiunque altro avrebbe reagito (e non sarebbe stato condannato per questo) con rabbia o vendetta, invece il cantautore genovese ha realizzato una delle canzoni più belle di sempre.
Jamin’A
Ancora una volta cambiamo completamente ambito e costume, per giungere a quel grande (e perfettamente riuscito) esperimento che fu Creuza De Ma. L’album non è soltanto la resa dialettale di ogni canzone, ma anche la perfetta traduzione in musica di cultura, arte e costumi genovesi. Jamin’A è una prostituta, descritta perfettamente nel suo modo di fare e di essere: la resa è ideale, tanto che il brano riesce ad essere coinvolgente ed estremamente sensuale.
Nella mia ora di libertà
Ultima canzone di Storia di un impiegato, in grado di sottolineare e ribadire, in via ennesima, il concetto di fondo: “Per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti”. L’ultima tappa di un concept album incredibile, realizzato in una fase storica fatta di rivoluzioni di pensiero e di azione, è rappresentata da quel breve – eppure significativo – momento in cui l’impiegato potrebbe godere della libertà, eppure ci rinuncia.
Zirighiltagghia
Nell’esibire questo brano in una delle celebri esibizioni con la PFM, Fabrizio De Andrè ha introdotto la canzone stessa definendola come il prodotto di quattro anni di Sardegna che, se non possono insegnare tutto, sono almeno in grado di insegnare la lingua e la cultura di un determinato luogo. Ne deriva un brano breve, veloce, immediato che parla di una disputa tra due fratelli per questioni di eredità. Una canzone ancora oggi attuale, che consigliamo a tutti di ascoltare.
Il testamento di Tito
Una delle canzoni più significative di tutta la discografia di Fabrizio De Andrè è Il Testamento di Tito. Un brano anacronistico, come l’intero album La Buona Novella, rispetto al periodo rivoluzionario che si viveva alla fine degli anni ’60. Il senso ultimo di questa canzone è lo scardinare totalmente i dieci comandamenti, grazie al punto di vista di Tito, uno dei due ladroni che si trovano di fianco a Cristo nel momento della crocifissione.