In Utero, il terzo album in studio dei Nirvana
Era il 21 settembre del 1993 quando fu pubblicato, dall’etichetta Geffen Records, In Utero. Il terzo album in studio rappresentò la vera e propria consacrazione per la band di Seattle: non tanto per le vendite che – per quanto corpose (lo vedremo successivamente) – non furono in grado di eguagliare quelle di Nevermind, quanto più per le scelte sonore e concettuali dei Nirvana.
Dopo l’ottimo avvio con Bleach e il successo assolutamente non premeditato di Nevermind, realizzare un terzo album era una scelta ardua. La band era consapevole di andare incontro a un probabile fallimento, e cercò di ritrovare se stessa attraverso nuove sonorità e nuovi progetti. Abbiamo raccolto cinque curiosità sull’album.
Il motivo della scelta del titolo
Il titolo dell’album – In Utero – è anche il titolo di una poesia di Courtney Love. La donna e la figlia, Frances, erano diventate due pilastri fondamentali nella vita di Kurt Cobain. Tuttavia, non doveva essere questo il titolo del terzo album in studio della band. Inizialmente il disco doveva chiamarsi, infatti, “I hate myself and i want to die”: la frase era ripetuta spesso da Kurt Cobain, quando gli veniva chiesto come stesse.
Novoselic si oppose, non volendo che l’album fosse preso poco sul serio; si optò, allora, per “Verse chorus Verse” (titolo originario di Sappy), ma per questioni stilistiche si arrivò al titolo con cui l’album è diventato noto.
La collaborazione con Steve Albini
L’album fu segnato dalla collaborazione della band con Steve Albini, produttore discografico che non apprezzava per nulla la grunge band. Albini aveva definito la band “una versione insignificante del suono di Seattle”, ma scelse comunque di collaborare con i Nirvana indicando subito il suo lavoro di produzione (attraverso una copia di Rid of Me, da lui prodotto, e con una lettera inserita soltanto nella riedizione del 2013).
Albini fu scelto da Cobain perchè aveva prodotto due dei suoi album preferiti: Surfer Rosa dei Pixies e Pod dei Breeders.
Il riconoscimento della rivista Kerrang!
Un particolare riconoscimento dell’album è arrivato dalla rivista Kerrang!; la rivista britannica ha inserito l’album al primo posto nella classifica dei 100 migliori album di sempre.
Un lavoro bidimensionale?
In Utero fu definito, dallo stesso Cobain, un lavoro bidimensionale, che «sarebbe stato più grezzo in alcuni brani e più caramellato in altri». Dal grunge all’alternative rock, il principio cardine di quest’album era quello di andare oltre le semplici sonorità che erano state inserite in Nevermind.
Quasi come un rigetto del proprio stesso album capolavoro, la band volle andare oltre quella semplicità sonora sperimentando, eliminando la unidimensionalità del precedente lavoro e toccando – in definitiva – gli “estremi del suono”. Ne sono un risultato canzoni urlate e quasi dissonanti (come Scentless Apprentice), altre orecchiabili (Dumb) e altre in rapida successione, quasi violenta (Milk It – Pennyroyal Tea).
Vendite e certificazioni
L’album ha ottenuto almeno un disco d’oro in Austria, Brasile, Germania, Italia, Messico, Polonia, Svezia, Norvegia. Platino, invece, in Argentina, Canada, Spagna, Giappone, Francia, Nuova Zelanda e Australia. Doppio platino in Regno Unito, con più di 600mila copie vendute, e cinque negli Stati Uniti, con più di 5 milioni di copie vendute.
La rivista britannica Rolling Stone ha inserito l’album al 439° posto dei 500 migliori album di sempre.