Come è morto Bob Marley?
Presumibilmente il 6 Maggio del 1945 (dico presumibilmente perché ad oggi la data è ancora incerta) nel villaggio di Rhoden Hall ai piedi della collina di Nine Miles, nella Giamaica Settentrionale, nasce Robert Nesta Marley, universalmente conosciuto come “Bob Marley”. Trentasei anni dopo, a poca distanza dal giorno della sua nascita, l’11 Maggio del 1981 Bob Marley muore per un melanoma al piede destro, lasciando dietro di sé un’eredità che tutt’ora valica i confini della musica e permane come pensiero politico, spirituale e religioso.
Chi era Bob Marley?
Sarebbe riduttivo definire Bob Marley solamente un cantautore e un chitarrista, perché è stato ed è prima di tutto un attivista di colore, un fervente rivoluzionario che con la sua musica ha voluto trasmettere un messaggio di lotta contro l’oppressione politica e razziale, ha provato a sconfiggere la discriminazione di genere e a spronare i popoli di colore ad unirsi in un unico credo in nome della libertà e dell’uguaglianza.La questione razziale e i pregiudizi discriminatori hanno sempre fatto parte della vita di Robert, nato da un unione mista tra un padre bianco e una madre nera, spingendolo ad affrontare il tema della propria identità per tutta la vita.
Il fatto poi che il padre abbia abbandonato la famiglia prima della nascita del figlio, ha inciso molto sulla sua crescita, acutizzando la consapevolezza del divario razziale che esisteva nel mondo e in particolar modo dentro se stesso, facendogli conoscere fin da giovane il senso di abbandono e rifiuto: “non ho avuto padre. Mai conosciuto…mio padre era come quelle storie che si leggono, storie di schiavi: l’uomo bianco che prende la donna nera e la mette incinta”.
La sua carriera musicale
Nel 1967 Bob Marley si converte al Cristianesimo e al Rastafarianesimo e da quel momento ha inizio la diffusione dello stile di vita per cui poi è passato alla storia, basato sulla ribellione al sistema bianco-centrico e razziale e sul dissenso verso la cultura dominante.
La sua carriera musicale invece dura un ventennio preciso, dal 1961 quando pubblica i suoi primi due singoli, “Judge not” e “One cup of coffee”, passando per la formazione dei “The Wailers” nel 1964 insieme a Bunny Livingston e Peter Tosh, fino alla morte.
Dopo lo scioglimento della band nel 1974, Bob continua a suonare come solista pubblicando sotto il nome di “Bob Marley and the Wailers”, ed uscendo con il suo primo storico singolo nel 1975: “No woman, no cry”. La sua consacrazione nel firmamento della musica mondiale può dirsi completa.
Sfortunatamente solo due anni dopo gli viene diagnosticato un melanoma maligno sotto l’unghia dell’alluce destro, che ben presto progredisce fino al cervello.
La sua attività come musicista e come attivista politico continua però senza sosta, culminando nella sua ultima produzione con il disco “Uprising” del 1980, dove la musica si intreccia a densi significati religiosi, come nel famosissimo singolo “Redemption song”.
Bob Marley canta: “Emancipate voi stessi dalla schiavitù mentale, nessuno a parte noi stessi può liberare la nostra mente” e tutto questo era lui e il pensiero che aveva animato la sua vita.
Poco prima di morire si circonda di tutti i suoi figli e ad uno di loro, Ziggy Marley, rivolge le sue ultime parole: “Money can’t buy life”.
Cosa ci resta di Bob Marley?
Un mese dopo il funerale gli viene assegnato il premio Jamaica Order of Merit per aver consacrato tutta la sua vita, il suo pensiero e le sue energie alla causa dei popoli di colore, con l’auspicio per un mondo futuro basato sull’uguaglianza e sull’accettazione universale. Bob Marley è stato molte persone e ha vissuto molte vite nell’arco di un’esistenza fin troppo breve e nonostante sia stato un politico più che un artista, ha compreso fin da subito quale potere e risonanza potesse avere la musica nel diffondere il suo messaggio di pace e lotta non violenta.
Per questo oggi, nell’anniversario della sua scomparsa, lo ricordiamo con una delle sue frasi più celebri e significative: “Il bello della musica è che quando ti colpisce non senti dolore”.
Articolo di Giulia Prosperini