Il 20 febbraio del 1967 nasceva, ad Aberdeen, Kurt Cobain, leader e storico fondatore dei Nirvana.
Sicuramente, quando parliamo di Kurt Cobain, indichiamo certamente una delle figure più importanti per una generazione. Così come Bob Dylan, infatti, il leader dei Nirvana determinò un cambiamento importantissimo dal punto di vista sociale nel suo tempo. Ovviamente, non fu solo questo: lo statunitense fu anche un abile chitarrista (autodidatta) e cantante. Purtroppo, molta della sua celebrità è derivata anche dal disastroso suicidio che avvenne l’8 aprile del 1994. E’ proprio di questo che parleremo oggi, all’interno di quest’articolo.
Fu un colpo di fucile a porre fine alla sua vita. Negli anni, sono state avanzate molte ipotesi sul suicidio del leader dei Nirvana. Secondo molte di queste, si è andata ben oltre una semplice considerazione personale gridando al complotto o ai fatti oscuri. Per alcuni, addirittura, non si sarebbe trattato di suicidio. Ciò da cui vogliamo distaccarci, in primo luogo, è proprio questo. Kurt Cobain, che possa o meno sembrare crudo, si è tolto la vita. Da solo, con un colpo di fucile.
Sicuramente, un aspetto determinante era la forte pressione mediatica che Kurt Cobain subiva. O meglio, una pressione mediatica che si applicava ad una personalità che non avrebbe mai voluto diventare oggetto di chiacchiere da salotto. Le continue indiscrezioni riguardanti la sua crisi con Courtney Love e con il resto della band erano davvero asfissianti. Ormai, questo non è da mettere in discussione, si parlava più del lato umano che non di quello artistico. Effettivamente, per giornali e televisioni è difficile fare una netta distinzione tra la persona e l’artista. Così fu anche per Kurt Cobain. Non si parlava più del leader dei Nirvana, ma dell’uomo in procinto di separarsi e lasciare la band.
Non si può negare che il rapporto sia con Courtney Love che con la band fosse stato, negli ultimi tempi, minato. I litigi con la moglie aumentavano sempre più, anche a casa delle massiccie dosi di eroina che il leader dei Nirvana assumeva. Per quanto riguarda la band, invece, furono proprio i fatti a confermare questa tesi. Kurt Cobain rifiutò 8 milioni di dollari per suonare, con la sua band, al festival di Lallapalooza. Le voci sullo scioglimento della band crebbero considerevolmente.
Un altro aspetto fondamentale fu proprio il consumo di eroina. Non stiamo dicendo che fu quella la causa della sua morte, ma che minò, indubbiamente, tutti i suoi rapporti. Sia per le forti pressioni, che per le tante sofferenze (anche fisiche) Kurt Cobain dovette trovare rifugio proprio nell’assunzione di eroina. A poco a poco divenne una persona sempre più sola, solitaria e lontana da ogni tipo di rapporto. Certamente non era mai stato un tipo di personalità semplice da gestire, ma in questo modo il tutto si complicava ancor più. Allontananiamoci da ogni sorta di giudizio morale ed etico. Si può dire che il consumo di droga lo fece diventare sempre più un eremita, dedito, ormai, ad una sola attività. Non più la musica, non più l’amore di sua moglie e sua figlia.
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Ma urge, da parte nostra, allontanarci da quelle che potrebbero essere le spiegazioni banali di un suicidio che, in questo modo, non avrebbe significato. Kurt Cobain doveva essere, per la sua personalità e per le sue idee, l’esempio di inadeguatezza più concreto che potesse esistere. Inadeguatezza alle logiche di mercato, alle logiche delle case discografiche, a quelle dei concerti e, in generale, a quelle del successo e della fama. Non che Kurt non fosse abile a raggiungere fama e successo… semplicemente non era la sua ambizione. Immaginiamo che una personalità irriverente come la sua ricercasse nella musica la semplice via di evasione da quella che era la negatività del cirocstante.
Gioia, consolazione, o semplicemente sfogo dovevano essere i fattori che hanno spinto il leader dei Nirvana ad affacciarsi al mondo della musica. E, in effetti, l’arte che cos’è per la maggior parte di coloro che la praticano? Esattamente questo, il semplice mezzo per evadere. Ma è tutto ciò che c’è dopo, tutto ciò che obbliga un artista a non poter godere a pieno della sua carriera, il problema. Tutto ciò deve aver condannato definitivamente Kurt Cobain a una inguaribile sofferenza. Verosimilmente, il leader dei Nirvana si rese conto che non c’era alcuna via di uscita. Che, arrivato a quel punto della carriera, era tutto un pensare a case discografiche, vendite, incassi.
E’ proprio questo che scrive, infatti, nella lettera lasciata a sua moglie, Cortney, e sua figlia Frances.
A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco.
E ancora: Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%.
La lettera, che nel tempo è stata considerata semplicemente come attestato di un suicidio, in realtà contiene tutte le chiavi di lettura necessarie. Kurt Cobain invidiava Freddie Mercury per quel vigore e quell’energia che gli derivavano semplicemente dallo stare sui palchi. E invece per il nativo di Aberdeen è come se mancasse sempre qualcosa, che non aveva trovato neanche nella musica.
Era un Kurt Cobain spento, ormai lontano dall’esistenza, quello che ebbe modo di vedere Serena Dandini. L’ultima apparizione televisiva dei Nirvana fu proprio in Italia, infatti, su Rai 3. Quel Cobain apparve più che mai stanco.
Altro aspetto da non sottovalutare è la considerazione di se stesso che Kurt Cobain ha, nella stessa lettera. Si definisce, infatti, un rocker autodistruttivo, e non sopporterebbe l’idea che sua figlia diventasse lo stesso. Forse è proprio in questa frase che si trovano tutti i motivi del suicidio. Kurt Cobain non odiava il mondo intorno a sè, odiava il suo stare al mondo. Amava la gente, era ciò che preferiva dei tour e dei concerti. Ma non riusciva più a sopportare l’idea di stare al mondo, a quelle condizioni, a quei dettami.
Forse siamo più che mai lontani dalla verità. Ciò che è certo è che Kurt Cobain abbia rappresentato, in vita e in morte, un vero e proprio modello. Un modello di pensiero, ma soprattutto un modello generazionale. Che va rispettato in quanto tale, pur non essendo suoi fan.
E allora, semplicemente, buon compleanno, Kurt.
di Bruno Santini (Nefele)