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Club 27: la misteriosa maledizione che avvolge la storia della musica rock

Club 27: una semplice espressione giornalistica?

Quando si parla di Club 27 (o Club of 27, per utilizzare un’espressione inglese) ci si rifà sempre ad un’espressione giornalistica che fu utilizzata per la prima volta a seguito di celebre morti, quali quelle di Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison. Oltre al giornalismo, però, bisogna calarsi nella situazione stessa, che sembra avere quasi del magico.

L’iniziatore del Club 27

Ma procediamo con ordine: l’iniziatore di questa maledizione del club 27 è considerato Robert Johnson, considerato tra i più influenti musicisti del ventesimo secolo, tanto da ottenere la nomina tra i cento chitarristi migliori della storia. Le sue straordinarie capacità musicali influenzeranno, in seguito, artisti dal calibro dei Led Zeppelin o Allmann Brothers. Ma tutto questo talento, che si interrompe il 16 agosto del 1938, costituisce l’intrigo per il bluesman.

Una morte strana, non ancora chiara. La stessa tomba del chitarrista non è mai stata ufficialmente identificata e dunque, com’è lecito, la magia è costruita intorno al suo personaggio, reo di aver – per alcuni – venduto la sua anima al diavolo. Che fosse vero o meno, basti ricordare ciò che lo stesso Robert diceva: Devo correre, il blues cade come grandine. E il giorno continua a tormentarmi… c’è un mastino infernale sulle mie tracce”.  

La morte di Brian Jones

Inevitabilmente, l’interruzione brusca di vita e carriera di tutti questi artisti ha anche del cruento: basti pensare alla morte Brian Jones, ad esempio, lo storico fondatore dei Rolling Stones: il 3 luglio del 1969, difatti, il polistrumentista (da tempo provato dall’eccessivo consumo di droghe) morì annegato nella piscina della sua villa, in circostanze mai del tutto chiarite. Oppure, per continuare la scia britannica, Pete Ham, leader dei Badfinger (per molti “gli eredi dei Beatles”), che morì suicida per impiccagione.

La maledizione dei 27

Quando però si parla di Club 27, non si può fare a meno di citare Jimi Hendrix (storico virtuoso della chitarra elettrica), Janis Joplin (cantante soul, rock e blues) e Jim Morrison (leader dei Doors), i 3 celebri artisti statunitensi le cui morti sono state legate, casualmente, alla lettera J e che hanno alimentato, negli anni, la “maledizione dei 27”: cerchia ancora più ristretta, che comprende tutti i 27enni – il cui nome o cognome inizi per J – morti in circostanze avverse.

La morte di Kurt Cobain

Sono, in effetti, statunitensi le morti più celebri: dopo il disastroso biennio ’70-’71, infatti, dopo un ventennio ancora una celebre morte: Kurt Cobain, leader dei Nirvana, si spara con un colpo di fucile e muore suicida, dopo aver lasciato una meravigliosa lettera colminante nell’ “I love you, I love you“. Ma è proprio grazie a quella lettera che riusciamo ad aver ben chiaro quale fosse la vita di un artista, quali le cause che lo portano, nel cultime della sua giovinezza, a togliersi la vita: Cobain ammette di non divertirti, di non essere inebriato dalla folla (come Freddie Mercury, ndr).

Gli sembra quasi di dovere, ogni volta, “timbrare un cartellino”. Un indizio, forse, o una semplice circostanza. Un fan, un ascoltatore passivo o semplicemente chi apprezza, non si celano mai nella vita di un artista. Ne apprezzano il gusto, possono adorarlo o odiarlo, ma quel limite che separa divertimento da lavoro è e potrà essere proprio dei soli artisti, come Kurt, uno degli storici del Club 27, testimonia.

La morte di Amy Winehouse

E per concludere, la bellissima voce di Amy Winehouse, morta per presunta overdose nell’estate del 2011, riaccendendo la leggenda del Club 27 dopo altri 20 anni. Un altra carriera gloriosa, la giovane era ammirata e amata ovunque. Un’altra coincidenza, o forse ennesimo indizio che la vita di un artista è più che mai lontana dalla vita di una persona; forse una carriera artistica, per quanto perfetta sia, potrà avere il difetto di non colmare mai i vuoti di una vita umana. E questo, noi fan, difficilmente lo capiremo senza provarlo.

Resta una domanda, a questo punto: i 27 sono pura coincidenza e casualità, o c’è davvero del magico in tutte queste morti storiche?

Bruno Santini

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